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Tremonti: non lascio

Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti

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Ci hanno provato in tutti i modi ma lui è lì inaffondabile, intoccabile, inamovibile. I colleghi di governo non lo sopportano e ormai non fanno nulla per nascondere che è una presenza tollerata a fatica. Lo stesso Berlusconi che fino a qualche mese fa faceva buon viso a cattivo gioco limitandosi a ironizzare sul «caratteraccio» del suo ministro e sull'incompatibilità di vedute sulle priorità economiche, anche il premier, s'è dovuto rassegnare. Giulio Tremonti resiste, è passato indenne a tutte le bufere riuscendo finanche a non farsi sfiorare dallo scandalo che ha travolto il suo ex braccio destro Marco Milanese. Anzi, con un modo ritenuto sprezzante dagli altri ministri, il giorno del verdetto, quello in cui si decideva il futuro di Milanese, Tremonti che fa? Si eclissa, non si presenta alla Camera dove il suo «amico» era alle forche caudine del voto sul suo arresto. E diserta anche il Consiglio dei ministri con all'ordine del giorno la nota di aggiornamento del Def. L'alibi è inattaccabile: deve andare alla riunione del Fondo Monetario internazionale. Ma nessuno crede all'impellenza dell'appuntamento internazionale. «Poteva pure partire più tardi» è un coro tra i deputati in Transatlantico. È la goccia che fa traboccare il vaso. Più di un ministro chiede le sue dimissioni. Giancarlo Galan, titolare dei Beni culturali, non riesce a trattenersi. «È un ministro da commissariare. È stato un errore lasciargli tutto questo potere, la regia unica delle scelte economiche». Sì perché è chiaro che le sue scelte di politica economica «non sono in linea con il programma di governo. Fa il contrario di quel che abbiamo promesso ai nostri elettori. Per questo perdiamo consensi». Altro che le ragazze e i festini, mugugnano dentro il Pdl, se il partito scende nei sondaggi è per colpa di Giulio e di «quelle sue idee da socialista statalista».   L'insofferenza verso il responsabile di via XX Settembre è esplosa proprio con la sua assenza alla Camera durante il voto. Molti non perdonano al ministro di non averci messo la faccia. Se il premier chiama tutti a una sorta di ribellione contro lo stato di polizia, perché lui si sottrae alla pugna? Berlusconi allora non ha voluto infierire ma si è trattenuto a stento. «Tremonti? Fatemi un'altra domanda» risponde tranchant a chi lo incalza. Il premier i sassolini dalla scarpa se li toglie in privato. E i suoi fedelissimi non ci pensano su un minuto a riferire all'esterno il malessere di Berlusconi. Ma che fare? Più di uno ha lanciato l'idea di spacchettare il ministero ricostituendo il duopolio, Tesoro e Finanze. Ma niente da fare, proposta caduta nel vuoto. Più di uno ha tentato di rilanciare la fantomatica cabina di regia per «arginare» il superego di Giulio. Niente da fare. È vero che la manovra è uscita in parte ridimensionata rispetto al disegno originario quale l'aveva concepito Tremonti ma si è trattato di piccole concessioni. La barra della politica economica resta nel suo pugno. E lo dimostra a Washington, al vertice del Fondo Monetario internazionale. Non una parola sulla bufera che agita la maggioranza né tantomeno sulla questione personale. Lascia parlare i numeri mostra la progressione con cui nei prossimi anni crescerà l'avanzo primario italiano, grazie all'opera di risanamento da lui attuata. Un modo per dire ai mercati e alla maggioranza che non ha intenzione di farsi da parte, non se ne va. Possono metterlo in mezzo quanto vogliono i colleghi di governo, possono anche appellarsi a Berlusconi, ma resta il fatto che lui rimane il punto di riferimento per l'Europa, una sorta di assicurazione, per i «mastini» tedeschi e francesi, del rigore nei conti pubblici. Chi può andare a parlare con il numero uno del Fmi Lagarde? E chi può misurarsi con il cancelliere tedesco o con il numero uno della Bce? È questo il mantra che Tremonti ripete ai colleghi di governo. Anche il buon Alfano ha provato a ridimensionarlo. Appena nominato segretario nazionale ha insistito sulla collegialità delle decisioni di politica economica. Ha dovuto ricredersi presto. Berlusconi da tempo ha smesso di pensare di potersi liberare di Tremonti. Ora il governo deve affrontare la sfida delle misure sulla crescita e il ministro dell'Economia è indispensabile. Insomma la crisi è per Tremonti la migliore assicurazione sulla vita.

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