La parola passi al Colle
Non c'è chi non veda le crescenti difficoltà, economiche e politiche, in cui si dibatte il Paese. Le prime legate ad una crisi finanziaria internazionale innescata sin dal 2007 dai mutui sub-prime americani e accentuatasi con un effetto domino in tutto l'occidente grazie agli avidi eccessi di un capitalismo finanziario che ha impoverito tutti. Della genesi di questa crisi poco se ne parla per una complicità tra una politica debole, in Europa e negli Usa, e una finanza internazionale che è diventata, anche grazie all'intreccio con i media (vedi il caso Murdoch), un potere alternativo alla politica. Una battaglia che sarà lunga e cruenta e il cui risultato definirà la governance del mondo perché la posta in gioco, accanto ai fattori della produzione, è quella della democrazia. O le democrazie occidentali ripristineranno il primato della politica disciplinando in maniera diversa i mercati o sarà la stessa democrazia ad essere messa in discussione. Detto questo, però, nella crisi internazionale ce n'è una tutta italiana legata alla debolezza della politica per la caduta di credibilità del governo e per una maggioranza parlamentare che è minoranza nel paese ed è inadeguata a fare del parlamento un interlocutore autorevole di una società inquieta. I presunti benefici della casta sono un depistaggio dei veri problemi che affliggono un parlamento sempre più spento e sempre meno libero. In esso non c'è capacità reattiva agli errori del governo o agli eccessi della piazza ed è oppressa da un familismo intollerabile che si personifica, nel ruolo presente e futuro, di Renzo Bossi e di Cristiano Di Pietro. Tutto ciò mortifica la politica molto più del menù del Senato tanto più che, senza mancare di rispetto alle persone, né l'uno né l'altro dei pargoli citati sono dei fulmini di guerra capaci di offrire speranza alle nuove generazioni. Avidità di una finanza impazzita, crisi dell'economia reale con 8 milioni di persone al di sotto della soglia della povertà e declino reddituale del ceto medio a fronte di un'elite sempre più ricca, debolezza della politica e inadeguatezza del parlamento costituiscono una miscela esplosiva che rischia di mettere in crisi più di quanto si immagina la nostra democrazia. Se la maggioranza è barricata nel Palazzo per sostenere gli attuali equilibri di governo non avvertendo la pericolosità di quanto sta accadendo e si sollazza con le goliardate dell'ampolla del Po o con mille inutili feste di partiti, la parola non può che passare al Presidente della Repubblica. Conosciamo e apprezziamo la sensibilità costituzionale di Napolitano ma dinanzi ad un governo che non regge l'urto della crisi economica e finanziaria e ad una maggioranza che tale non è nel Paese, il problema è tutto un altro. Non vogliamo insegnare nulla al Presidente né richiamare il precedente dello scioglimento delle Camere alla fine del '93 nonostante che il governo fosse retto da una maggioranza parlamentare che lo era anche nel Paese. Napolitano ha gli strumenti costituzionali per far uscire tutti noi dal tunnel. Il Presidente, apprezzato da tutti gli italiani, deve esercitare la sua "moral suasion" perché la maggioranza parlamentare prenda atto delle proprie difficoltà e di quelle del Paese. Diversamente, dinanzi alla gravità della situazione economica e allo scontro tra i poteri dello Stato, ha tutta la legittimità per sciogliere le Camere. La sua saggezza sceglierà i modi migliori per procedere appartenendo, egli come noi, ad una stagione politica in cui l'interesse profondo del Paese veniva sempre e comunque prima di quello dei partiti e dei governi.