L'atterraggio che non c'è
In tempi non sospetti ho scritto su questo giornale che per la storia personale di Berlusconi e collettiva del berlusconismo va preparato un soft-landing, un atterraggio morbido. Ho sempre combattuto in punta di penna l’estremismo di chi desidera in maniera compulsiva la fine tragica del Cavaliere, la sua uscita di scena a suon di monetine o pietrate. È un’idea di Italia lontanissima dalla democrazia, dal dibattito civile, dalla buona politica, un sogno psicotico pericoloso, foriero di altri drammi e divisioni di cui il Paese non ha bisogno. Gli avversari se ne facciano una ragione: Berlusconi non è un tiranno, ma un leader democraticamente eletto. Su Il Tempo abbiamo affrontato varie volte in un dibattito franco e senza tabù la questione del passo indietro del Cav. Per alcuni salutare, per altri un errore. Il combinato-disposto della crisi economica, la speculazione sul nostro debito sovrano e le nostre imprese e l’assalto giudiziario hanno rimesso il tema sul tappeto. Io non sono tra quelli che pensano che la sua uscita sia la soluzione per i nostri mali. L’ho scritto ieri e lo ripeto oggi: il Cav esce? L’Italietta resta. Con i suoi problemi, le sue ipocrisie, le sue cricche, i suoi clan, le sue lobby e la sua cronica irriformabilità. Sono però assolutamente convinto che bisogna evitare il crash di Berlusconi, per il bene del blocco sociale che l’ha votato e per il futuro del centrodestra. Sergio Romano ieri sul Corriere della Sera ha avanzato la proposta: il premier annuncia che non si ricandida, propone al Capo dello Stato il voto nel 2012 e avvia la transizione. Sorvoliamo sul fatto che di costituzionale non c’è nulla e diciamo per carità di patria che è tutto molto bello. Poi però dobbiamo tornare sulla terra. Anzi, stare in aria. Siamo in fase di atterraggio d’emergenza, dobbiamo provare il soft-landing. Benissimo. Si fa così: i piloti registrano la perdita di un motore e problemi al radar. Volo a vista. Avvertono il primo aeroporto disponibile. Si fanno guidare via radio dalla torre di controllo. Tutto il traffico aereo intorno viene fermato. Un’esercitazione militare pericolosissima bloccata. La pista viene sgombrata e l’aerostazione evacuata. I vigili del fuoco si tengono pronti, le ambulanze pure. All’interno del jumbo primo e secondo pilota tengono la rotta e seguono il piano di volo, l’equipaggio (hostess comprese) è calmo, fermo, rassicurante. I passeggeri sono tutti consapevoli di quel che stanno affrontando, ma sono pronti a indossare la maschera d’ossigeno, non si fanno prendere dal panico e hanno le cinture di sicurezza ben allacciate. Tutti svolgono il loro compito in maniera perfetta. Il volo balla un po’, in pista caracolla ma alla fine è salvo. Nel caso del governo Berlusconi la situazione è la seguente: il primo pilota (Silvio) non ha ancora deciso che rotta prendere; il secondo pilota (Tremonti) è in difficoltà con i piani di volo; l’equipaggio (il governo) è incerto e non ricorda le procedure di salvataggio; i passeggeri (il Parlamento) sono preda del panico e non vogliono atterrare ma restare sempre in volo fino al 2013; la torre di controllo (Napolitano) dà istruzioni ma alla radio dall’altra parte non trova nessuno; i vigili del fuoco (i sindacati) sono in sciopero; le ambulanze (gli industriali) non partono perché senza carburante; le esercitazioni militari (la magistratura) non solo non si fermano ma continuano un gran lancio di razzi e missili intorno al jumbo in avaria. Ecco, caro lettori, questa è la realtà. Voi stareste alla cloche dell’aereo con tanta serenità? Sareste certi della piena collaborazione di tutti nell’atterraggio d’emergenza? O provereste a restare sopra le nubi finché c’è carburante pianificando un rifornimento in volo? In America si dice, «ask the pilot», chiedete al pilota.