Berlusconi: non faccio passi indietro
Io non faccio passi indietro. Ho una maggioranza e chi mi vuole sfiduciare se ne assuma la responsabilità in Parlamento. E se non dovessi avere più i numeri si va alle elezioni. È un Silvio Berlusconi determinatissimo quello che si presenta davanti a Giorgio Napolitano pronto a rispedire al mittente qualsiasi soluzione alternativa che preveda un suo passo indietro e l'addio da palazzo Chigi. Un confronto testo quello con il Capo dello Stato in cui il Cavaliere avrebbe ribadito ancora una volta la volontà a finire la legislatura mettendo mano, già nel Consiglio dei ministri di domani, a quelle misure per la crescita auspicate dal Colle. Napolitano non avrebbe nascosto la sua preoccupazione di fronte alla situazione economica e alla difficoltà, vista la fragilità dell'esecutivo, di far fronte ad un eventuale peggioramento dell'economia italiana. Il capo dello Stato insomma avrebbe messo in chiaro che l'esecutivo può andare avanti solo se garantisce di avere i numeri. Nessun passo indietro dunque nonostante il pressing dei big del partito e pare anche dei figli, si racconta in ambienti della maggioranza. Un concetto tra l'altro messo bene in chiaro anche nel confronto con il Senatur nell'incontro a palazzo Grazioli. Non ci penso proprio a farmi da parte così come non mi farò spodestare da manovre di palazzo, piuttosto - avrebbe detto al leader dei Lumbard il capo del governo - sono io che faccio saltare il banco andando alle elezioni. Parole che non nascondono il malumore per gli ultimi due giorni in cui a tenere banco sono stati i colloqui di Napolitano con big della maggioranza e dell'opposizione. Con i suoi fedelissimi infatti il Cavaliere non nasconde l'irritazione nei confronti proprio dell'atteggiamento tenuto del Quirinale. Quella del ricorso alle urne invece è un idea che Berlusconi avrebbe preso in considerazione negli ultimi giorni: l'extrema ratio, spiegano i suoi uomini, per uscire dal complotto di cui è vittima ridando voce agli elettori. Il messaggio di tornare al voto ha l'obiettivo per il capo del governo di mettere a tacere la fronda dei malpancisti dentro lo stesso Pdl e, contemporaneamente, di inviare un segnale chiaro a quella componente dei lumbard vicina a al ministro dell'Interno Roberto Maroni che non ha mai fatto mistero di essere favorevole a votare sì alla richiesta di arresto di Marco Milanese, ex braccio destro di Giulio Tremonti. Domani infatti è atteso il parere dell'Aula e gli occhi sono tutti puntati sul Carroccio. Le rassicurazioni fornite da Bossi al premier sulla tenuta del Carroccio, nel corso del vertice a Grazioli, non bastano però a placare la preoccupazione sui "franchi tiratori". L'assenza di Maroni dall'incontro di via del Plebiscito non è passata inosservata, così come le 'consultazioni' delle ultime 48 ore del titolare dell'Interno. Ieri il colloquio con Napolitano, oggi con Schifani e con i big del Pd: Bersani e Veltroni. Difficile che domani la pattuglia dei maroniani si divida dal gruppo anche perchè sarebbe stato lo stesso titolare del Viminale a mandare messaggi ai suoi interlocutori mettendo bene in chiaro di non potersi addossare tale responsabilità. In realtà, la paura nel Pdl è che l'allineamento di Maroni sia solo momentaneo in vista del 'redde rationem' all'interno della Lega. In molti però sono pronti a scommettere che la prossima settimana quando Montecitorio dovrà votare sulla mozione di sfiducia a Saverio Romano, ministro dell'Agricoltura condannato per concorso esterno ad associazione mafiosa, difficilmente la maggioranza resterà compatta.