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"Violate le regole del processo"

Il premier Silvio Berlusconi

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Intercettazioni «svincolate» dalla loro «naturale finalità», prassi illegittime, come quella di «ascoltare nella veste di persona informata sui fatti», e dunque senza avvocato, «persone potenzialmente sospettate dei reati per i quali si indaga». Ancora: ordinanze di custodia cautelare emesse prima di aver sentito la presunta vittima e scorrettezze verso gli avvocati «forzosamente sollevati dal segreto professionale con riguardo ad avvenimenti appresi nel corso del mandato». È quello che sta accadendo a Napoli con il caso Tarantini. Una prassi che «permette al pubblico ministero di giocare letteralmente al gatto con il topo con chi è oggetto di attenzione nell'indagine». È l'allarme lanciato dall'Unione delle Camere Penali Italiane, messo nero su bianco in un documento approvato ieri. I penalisti, ovviamente, non entrano nel merito del procedimento che riguarda, come presunta vittima, il presidente del Consiglio Berlusconi ma mettono in guardia contro l'uso distorto della giustizia «che tutti i giorni si fa nei tribunali». Secondo gli avvocati, a Napoli i magistrati seguono prassi illegittime verso le persone coivolte «all'occorrenza, ignorandone la veste sostanziale di indagato, o di indagato in procedimento connesso o collegato, per poterlo ascoltare in assenza di garanzie di difesa». Si tratta di una «ripetuta violazione di alcuni diritti fondamentali, in particolare del diritto di difesa tanto sul piano del rispetto delle regole di tutela degli indagati, sia per ciò che concerne l'intangibilità del rapporto tra l'avvocato ed il proprio assistito». I legali se la prendono anche con la politica, colpevole di accorgersi «delle illegalità solo quando queste la colpiscono oppure finge di non sapere che è dovere di tutti i cittadini, anche del presidente del Consiglio, rendere testimonianza quando ciò è necessario e se realmente la veste di testimone è giustificata». Tuttavia, i penalisti sottolineano come l'inchiesta che chiama in causa il premier dimostri ancora «che in questo Paese è normale che vengano emesse ordinanze di custodia cautelare, per un reato come l'estorsione, prima ancora di aver interrogato la presunta vittima e prima di avergli chiesto dove mai il fatto si sarebbe consumato. Il che fa dubitare dello stato delle garanzie - per tutti i cittadini non solo per Berlusconi - e della reale finalità di questo braccio di ferro processuale, che senza ipocrisie segna l'ennesimo capitolo dello scontro tra politica e magistratura». Ma non è tutto. Nel corso dell'indagine napoletana, ricorda ancora l'Unione delle Camere Penali Italiane, gli avvocati «sono stati ascoltati come testimoni e forzosamente sollevati dal segreto professionale su avvenimenti appresi in occasione del mandato e potenzialmente pregiudizievoli quantomeno dell'immagine dei loro assistiti. Tutto ciò - si legge nel documento approvato ieri dalla Giunta - non in presenza di alcun tipo di comportamento illegittimo, secondo gli stessi inquirenti, da parte degli avvocati che ben avrebbe determinato l'eliminazione delle guarentigie difensive». Ciò per i penalisti è «intollerabile e si iscrive nella progressiva erosione di quell'ambito sacrale ed intangibile che deve tutelare l'attività difensiva che connota questi ultimi anni in cui si sono registrati reiterati ascolti di conversazioni tra difensori ed indagati, ipocritamente giustificati dalla giurisprudenza a seconda dell'utenza intercettata; ovvero con iniziative come quelle degli ultimi mesi che hanno visto diverse Procure incriminare taluni difensori per il reato di infedele patrocinio in funzione delle scelte da costoro operate all'interno dei processi». Una prassi, «invalsa in molte Procure», che costantemente si ripete mentre «alla intangibilità del rapporto tra l'avvocato e il proprio assistito si deve restituire reale tutela» ribadisce l'Unione Camere Penali. Le parole della Giunta dei penalisti sono nette e denunciano ancora «una prassi contra legem diffusissima, apparentemente giustificata dall'ampia discrezionalità che la legge, e soprattutto la giurisprudenza, riconoscono al pm rispetto al momento di iscrizione nel registro notizie di reato degli indagati, ma in realtà frutto di un rigurgito di cultura inquisitoria che ciclicamente riemerge». Per le Camere penali si tratta quindi dell'«ennesimo punto di degrado del conflitto improprio tra politica e magistratura, punteggiato dalla consueta, ma non per questo accettabile, circolazione di brogliacci di intercettazioni telefoniche che costituiscono oramai una micidiale forma di gogna moderna del tutto svincolata dalla sua naturale finalità». E la politica, si fa notare ancora, continua a «non rendersi conto che l'unica maniera corretta di affrontare la questione è quella di ridisegnare in modo equilibrato l'assetto costituzionale della giurisdizione e riformare alcuni istituti processuali, mettendo mano alle proposte che pure giacciono in Parlamento su entrambi i temi». Oggi più che mai, concludono i penalisti, «ribadiamo che per dare un nuovo volto alla giustizia occorre "costruire sulle macerie", segnalando che di fronte all'attuale degrado, l'avvocatura penale, non potrà che adottare forti iniziative di protesta anche a tutela della libertà della Difesa».

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