La buoncostume tecnocratica
Deve mandare tutti a quel Paese e andarsene al sole di Bermuda? Oppure continuare la sua avventura politica in un ring dove scorre il sangue e si tirano colpi bassi senza che l’arbitro fermi il pestaggio? Questa è la domanda che molti amici e lettori mi fanno a proposito di Silvio Berlusconi. Su Il Tempo nelle scorse settimane abbiamo avviato sul tema un confronto serrato e ricco di opinioni. Volevo far così anche stavolta, ma sono rimasto colpito dall’uniformità delle osservazioni ricevute dai commentatori del nostro giornale. Di fronte all’ultimo assalto al Fort Apache berlusconiano hanno tagliato corto: «Caro direttore, vista l’azione della magistratura, l’abnormità delle intercettazioni, la sistematica violazione del segreto istruttorio, la lesione brutale dei diritti costituzionali, a questo punto il Cavaliere deve restare al suo posto». Il Tempo è un foglio conservatore, libero e spesso corsaro, con il Cav non siamo mai stati un giornale monocorde. Ma stavolta anche gli editorialisti che avevano sostenuto le ragioni di un passo indietro di Silvio hanno cambiato idea. È un segnale che dovrebbe far riflettere, significa che si è oltrepassato ogni limite e che l’azione di charachter assassination di Berlusconi sta producendo risultati boomerang presso l’opinione pubblica e gli elettori di centrodestra, anche tra chi non ha mai risparmiato critiche al premier, ne ha colto i limiti politici e messo in evidenza la totale imprudenza privata e l’assenza di tatto istituzionale. Ho un sospetto: di questo passo, forse Berlusconi cadrà e il Paese finirà nelle mani della buoncostume tecnocratica, ma il berlusconismo come espressione politica del blocco sociale moderato, non tarderà a tornare più forte di prima.