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La questione umorale del Pd

Pierluigi Bersani

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I tempi cambiano e non sempre in peggio, anche per la sinistra italiana. Il caso Penati potrebbe rappresentare il passaggio evolutivo determinante che le consentirà di scendere dalle nuvole del suo preteso stato angelico e cominciare a camminare sulla terra, magari non a quattro zampe. L'anello mancante di questo processo evolutivo non sarà certo Bersani, che ancora recentemente ha gridato ai "teoremi calunniosi" e nel suo discorso alla Festa di Pesaro del Pd ha dimenticato di citare il nome di Penati; ma potrebbero essere figure come Matteo Renzi, il giovane sindaco di Firenze, il quale ha ricordato che "i corrotti esistono ad ogni latitudine" e che "le responsabilità penali sono personali ma quelle politiche sono dell'intera classe dirigente". Tra la rimozione del Bersani-Australopitecus e il realismo del Renzi-Homo Sapiens, per fortuna non passano un milione di anni. Più che morale, sembra una questione umorale del Pd. Nel mezzo si consuma il solito rituale dell'illusione: quello che racconta di un'età dell'oro di una sinistra etica contrapposta a limitati e marginali casi di corruzione. È storia vecchia, venuta fuori anche qualche mese fa durante la commemorazione del trentennale dell'intervista che Eugenio Scalfari fece a Berlinguer sulla questione morale e sul rapporto fra etica e politica. Quella intervista è stata ricordata da Scalfari stesso, da tutti i giornali che contano, da quelli che non contano e da tutti gli intellettuali che vogliono contare. In quell'occasione, il senatore Pd Gerardo D'Ambrosio, aveva affermato che "una volta, quando c'era Berlinguer, la sinistra si distingueva proprio perché doveva caratterizzarsi da una moralità ben precisa nell'amministrazione pubblica". Un'affermazione importante perché D'Ambrosio è stato il capo della procura di Milano ai tempi di Tangentopoli, cioè in quella stagione di giustizia e verità che avrebbe dovuto infliggere un duro colpo al sistema clientelare e corruttivo su cui si fondava la Prima Repubblica, ma che, a detta dei suoi stessi protagonisti, alla lunga non ha intaccato il sistema dei partiti. La realtà è che nel 1981, mentre Berlinguer denunciava l'occupazione dello Stato da parte dei partiti, il Pci partecipava a quell'occupazione. Banche, università, aziende pubbliche, istituti culturali, ospedali, non erano appannaggio solo dei "partiti governativi" ma anche del principale partito d'opposizione; con in più l'unicità del sistema clientelare che il Pci di quegli anni stava mettendo in piedi, attraverso il supporto di cooperative e sindacati. Se il problema dei comunisti italiani fosse stato semplicemente il cumulo impressionante di fondi neri che provenivano dall'Unione Sovietica (con i quali per decenni intere generazioni di funzionari, intellettuali, militanti e salsicciari delle feste dell'Unità furono stipendiati), saremmo disposti a sorvolare anche noi, come fecero i magistrati di Mani Pulite; l'equilibrio internazionale imposto a Yalta aveva i suoi costi. Ma non è così. La questione morale che riguarda la sinistra di oggi, riguardava anche quella di ieri. Per certi versi dovremmo riconoscere che proprio quella ipocrisia berlingueriana misurò la sua grandezza di statista, nella capacità di anticipare la crisi di sistema che si stava profilando e di piegare con realismo quell'intuizione ai propri interessi. Ma con quella intervista Berlinguer inaugurò, più che la questione morale, quella della doppia morale; sviluppò la concezione quasi antropologica di una sinistra italiana che si convinse nel tempo di essere superiore moralmente, rimuovendo da sé il limite di essere parte dello stesso sistema immorale che denunciava. Una forza psicologica che le avrebbe consentito di sopravvivere al tracollo epocale del comunismo e alla desertificazione italiana operata da Tangentopoli; perché fu questa presunzione di "diversità" ad accompagnare anche l'operato di giudici come D'Ambrosio, che negli anni '90 decisero di scardinare il sistema politico spazzandone via una parte e lasciando intatta l'altra. E tuttora spiega la reazione isterica e le contorsioni dialettiche della classe dirigente, di fronte all'emergere della gravità del caso Penati. La verità è che, la vera questione morale della sinistra italiana, ancora oggi, è la sua doppia morale.

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