«Sì al governo di transizione. Silvio si tolga di lì»
Esplodela piazza del Partito democratico, quando Pier Luigi Bersani pronuncia queste parole. Il segretario schiera il suo partito in prima fila nelle ore della crisi e ribadisce la disponibilità a un governo «di transizione». Ma, visto che «non si può andare avanti così fino al 2013», invoca le urne, nel caso in cui il Cavaliere non si facesse da parte. Intanto tuona contro una manovra che «non può metterci fuori dai guai» e annuncia una manifestazione nazionale per la «svolta» il 5 novembre a Roma. «Siamo diventati lo strapuntino dell'Europa e del mondo», è l'accusa che il leader del Pd muove a Berlusconi e Lega. Ci hanno portato «a pochi passi dal precipizio». E di questa deriva è stato «complice» chi in questi anni, al contrario del Pd, ha praticato l'arte del «conformismo». Il governo, dice chiaro e forte il segretario, davanti alla piazza di Pesaro gremita per la chiusura della festa Pd, ha «mentito agli italiani» e vuole «sopravvivere truccando le carte senza avere più i numeri né la forza per governare». Dal precipizio non ci salva, avverte il segretario, una manovra che «chiede soldi a chi non li ha» e «ricade sull'occupazione con l'azzeramento degli investimenti e l'assenza totale di misure per la crescita». Il Pd è disponibile a contribuire con le sue proposte (risparmi nella Pa e risorse da rendita e patrimoni), ma se alla Camera non si cambia, si rischia di «essere daccapo il mese prossimo». A questo punto per risolvere le cose, è convinto Bersani, ci vuole innanzitutto un passo indietro del governo e di Berlusconi, e «una transizione affidata a un esecutivo più credibile» in Italia e all'estero. Altrimenti: al voto. Perché arrivare così al 2013 sarebbe «il disastro». Se elezioni saranno, il Pd cercherà di costruire un Nuovo Ulivo con Sel, Idv, Psi (ma basta attacchi quotidiani ai democrat) e con loro farà «un largo appello a tutte le forze moderate». Quello del segretario, però, non è solo un discorso di rottura. Bersani vuole rassicurare la base e impegnarla nella costruzione del futuro (duemila giovani del Sud a ottobre avvieranno a Napoli, annuncia tra l'altro, un anno di formazione politica). E allora il leader del Pd tratteggia un vero e proprio programma di governo, dal lavoro, alla scuola, alle riforme (su tutte dimezzamento dei parlamentari e riforma elettorale). Quindi chiede che si faccia subito una sessione parlamentare per dire basta a vitalizi, doppi incarichi, privilegi e iniziare a ridare credibilità alla politica. «L'onestà e trasparenza della politica», ammette Bersani, «è un impegno che riguarda anche noi». È la nota dolente della questione morale, che viene evocata con un ricordo di Berlinguer (boato della folla). Ma se «le critiche le accettiamo», avverte Bersani, che non cita mai Filippo Penati, «l'aggressione no». E ai «teoremi assurdi» e al tentativo di «metterci nel mucchio» il Pd reagirà con le denunce. Infine un invito all'impegno della nuova generazione democrat, a patto che formi «un collettivo unito».