Il debito? Un gioco da bambini
Il giochino è semplice. C'è l'omino del Lego vestito da torero che rappresenta la Spagna, quello con la tutina della Ferrari per l'Italia. I tre con armi e scudi medievali sono i partiti principali della Germania, il marinaio è l'Irlanda e l'artista con pennelli e tavolozza è la Francia. Poi ci sono i due Stormtroopers di Guerre Stellari ovvero la Commissione europea e i ministri delle Finanze dell'Eurogruppo. Ogni omino, o gruppi di omini, rappresenta uno dei soggetti coinvolti nella crisi. Sono collegati fra loro da tante frecce rosse che indicano dove ogni singolo omino vorrebbe scaricare il fardello dei costi per uscire dalla tempesta. Ecco come vede la crisi del debito europeo e i connessi rischi di recessione un bambino di nove anni. Geniale. È l'idea sfornata da Michael Cembalest, responsabile degli investimenti di JPMorgan's private bank, che ha utilizzato suo figlio Peter e la sua esperienza quasi decennale con i Lego per descrivere in modo semplice cosa sta accadendo in Europa. Certo, nella scelta dei dodici giocatori gli stereotipi non mancano. E con la crisi non si scherza. Ma «se questa situazione in miniatura ha del ridicolo, lo è anche la convinzione che continuare ad accumulare debito pubblico e il credito dei privati in Europa possa andare a risolvere la situazione», scrive Cembalest nel suo report diffuso ai clienti della banca d'affari Usa lunedì scorso. Come dargli torto? Stiamo arrivando alla resa dei conti, a quel gioco finale che deve decidere chi dovrebbe pagare per gli attuali e i futuri piani di salvataggio. E il gioco è bello quando dura poco, soprattutto se in ballo c'è il futuro della moneta unica europea. Mercoledì la Corte costituzionale tedesca ha dato (sul filo del rasoio) il via libera alla partecipazione della Germania al salvataggio della Grecia regalando così alla cancelliera Angela Merkel una preziosa vittoria contro il partito degli euroscettici, sostenuto anche da alcuni dei suoi stessi alleati. Da parte sua, la Merkel ha ammesso che l'Europa si trova in questo momento di crisi di fronte a «sfide storiche», ma ha promesso che l'euro «non fallirà». Idem per il presidente della Commissione europea Jose Manuel Durao Barroso che ieri in un discorso pronunciato all'università di Auckland, in Nuova Zelanda ha assicurato: «l'Unione Europea uscirà dall'attuale crisi dell'euro ancora più forte». Accanto alle tranquillizzanti dichiarazioni d'ordinanza non possono però essere sottovalutati quei lapsus momentanei o quelle frasi degli euro-burocrati sulle reali condizioni della moneta unica sfuggiti a margine di convegni o in fuori onda televisivi. Dal ministro delle finanze polacco, Jacek Rostowski, che il 29 agosto dichiara: «Le élites europee, comprese quelle tedesche, dovrebbero decidere se vogliano o meno che l'euro duri, anche a un prezzo elevato. Altrimenti, bisognerà prepararsi a una dissoluzione controllata della zona euro, con tutte le sue conseguenze, anche per la Germania. Chi non lo capisce sta giocando con il fuoco». A Paul Donovan, Stephane Deo e Larry Hatheway della Svizzera Ubs che in un report scrivono: «Sotto l'attuale struttura e con i membri attuali, l'euro non funziona. L'attuale struttura dovrà cambiare, o saranno i membri attuali a dover cambiare». Dal presidente del Consiglio Europeo, Herman Van Rompuy, per il quale «L'euro non ha mai avuto l'infrastruttura che richiedeva». Al numero uno di Deutsche bank, Josef Ackerman: «Non è un segreto che molte banche europee non sopravviverebbero se fossero costrette a rivedere il valore di titoli di stato posseduti ai prezzi di mercato». Passando per le ultime dichiarazioni raccolte al Forum Ambrosetti di Cernobbio, in mezzo al gotha dell'economia e della finanza: «L'euro? Un esperimento fallito», secondo Martin Feldstein, economista arrivato sul Lago di Como da Harvard. Gli ha fatto eco il numero uno dell'Istituto di ricerca economica tedesco Ifo, Hans-Werner Sinn, che ha risposto «tutto è possibile» alla domanda se qualche Paese sarebbe potuto uscire dall'eurozona. «Da questa crisi si esce solo con più austerity», ha poi avvertito Nouriel Roubini, il professore della New york University soprannominato Dr. Doom (dottor disastro). Lo stesso Roubini che nel suo Twitter ha citato un sondaggio circolato al Forum al quale hanno risposto persone «bene informate dei fatti»: tra tre anni l'euro sarà ancora nella forma in cui lo conosciamo oggi? Il 50 per cento ha risposto di no. E come fa notare sul suo blog Phastidio l'economista Mario Seminerio, «Una dissoluzione dell'euro sarebbe l'equivalente di un inverno nucleare. Per tutti, tedeschi inclusi» e «Nessuno è autorizzato ad illudersi: andrà molto peggio, prima di andare meglio». Ecco perché sarebbe bello obbligare i responsabili delle finanze europee a sedersi attorno a una scatola di Lego (magari accanto al piccolo mago dei mattoncini Peter Cembalest e al suo papà analista), chiedendo loro di risolvere le cose. Il risultato non sarebbe più farsesco degli stress test bancari dell'Unione Europea.