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Euro giù e capitali in fuga Come salvare il conto in banca

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Il tabù è stato infranto da Horst Seehofer, responsabile del partito cristiano bavarese Csu e figura prominente in Germania: in una intervista al quotidiano Bild ha chiaramente affermato che la Grecia potrebbe essere costretta alla fine a lasciare l'euro. Seehofer non ha fatto altro che esprimere quanto membri del Congresso tedesco e ministri stanno suggerendo di fare da settimane. Tanto che ieri il governo Merkel ha praticamente ammesso il fallimento di Atene annunciando la preparazione di un piano di emergenza per aiutare le banche in caso di default ellenico. Per Stephane Deo, economista presso Ubs, «un addio del Paese sarebbe molto costoso e difficile, e l'espulsione sarebbe impossibile», come nella canzone Hotel California degli Eagles, «Puoi andare via ogni volta che vuoi, ma non puoi mai lasciare». Intanto, però, il ministro tedesco dell'Economia Wolfgang Schaeuble ha alzato la voce facendo riferimento alle garanzie che Atene manca di dare per ricevere nuovi aiuti dall'Europa e dall'Fmi. «Tocca alla Grecia decidere se vuole soddisfare le condizioni che sono necessarie per rimanere a far parte dell'euro», ha detto chiaramente. Il governo greco non si starebbe dunque impegnando per adottare quelle manovre draconiane che sono necessarie per soddisfare le condizioni stabilite con il primo piano di salvataggio, erogato nel maggio del 2010 per un valore di ben 110 miliardi di euro. Fuori uno? Quasi. Proprio mentre aumentano gli studi e i rumor nelle «sale trading» sul cosiddetto «break up» della moneta unica. Con tanto di modellizzazione dei costi sociali: gli stessi esperti della svizzera Ubs hanno messo in allerta i propri clienti che se stati membri cominciassero a disertare l'euro, facendo precipitare un collasso della moneta unica, «alcune forme di governo autoritario o militare o guerra civile» potrebbero sorgere. Anche Jp Morgan è tornata a ragionare su una possibile rottura dell'euro. Sottolineando il rischio di una rapida fuga di capitali dal Paese che si aspetta una svalutazione. «Non esiste una clausola legale per lasciare l'euro senza uscire dall'Unione, ciò significa che l'uscita di un singolo Stato andrebbe negoziata in via multilaterale e poi ratificata internamente attraverso un dibattito parlamentare o un referendum. A quel punto – si legge ancora nel report - i depositi bancari uscirebbero dal Paese se la sua nuova moneta venisse svalutata e viceversa. Nello studio si ricorda l'esempio della Cecoslovacchia nel 1993: «Le nuove repubbliche ceca e slovacca avevano concordato di mantenere un'unione monetaria dopo la separazione politica ma i cittadini slovacchi trasferirono i loro depositi nelle banche ceche in vista di una svalutazione della moneta. L'unione monetaria venne dissolta in sei settimane». L'unico modo per fermare questo processo sarebbe, secondo gli analisti Usa, «una lunga chiusura delle banche o un controllo dei capitali». Oppure, se il rischio di un blocco del sistema bancario nazionale diventa davvero alto, una delocalizzazione fisica dei risparmi di una vita. Sul fronte debito, infatti, Jp Morgan lancia un altro monito: le società i cui asset o flussi di liquidità fossero ridenominati in una valuta nuova e più debole lasciando però il passivo in euro, potrebbero diventare insolventi». Quindi massima allerta per chi dovesse decidere di indebitarsi. Azzardando un paradosso, sarebbe meglio richiedere alla banca una clausola in base alla quale se l'euro salta il debito contratto verrà ripagato nella valuta che verrà adottata in Italia, ovvero in lire, e non in quella più forte. Jp Morgan suggerisce comunque di dirottare i propri investimenti su attività che verranno ridenominate in una valuta forte come il marco tedesco piuttosto che la nuova lira. In alternativa, si potrebbero acquistare dollari o oro. Non a caso ieri è continuata senza freno la discesa dell'euro sui mercati internazionali. I mercati hanno perso fiducia nella moneta unica che è infatti precipitata a 1,3763 dollari, ai minimi da marzo. Perché? La Germania ha finora fatto da salvagente ai cosiddetti Piigs, i Paesi periferici come la Grecia. Ma adesso il vento sta per cambiare. E anche la Francia (basta vedere il crollo di alcuni titoli bancari che ieri ha scosso il listino di Parigi) sta cominciando a dare qualche segnale di cedimento. Non solo. La stessa politica di Obama punta a favorire il rientro dei capitali da parte delle grandi multinazionali che stanno passando ordini alle sale cambi per bloccare il cambio a un livello interessante per il rimpatrio. Il risultato è sempre lo stesso: un flusso netto di capitali verso il dollaro che si apprezza. In Europa la fuga di liquidità creerà grossi problemi al sistema bancario e assicurativo, nonché ai mercati azionari nel loro complesso e alle obbligazioni statali. La crisi continua, è ora di scendere in trincea.

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