Berlusconi a Lavitola: "Resta all'estero"
«Che devo fare? Torno e chiarisco tutto?». «Resta dove sei». Questo botta e risposta tra Valter Lavitola e Silvio Berlusconi, anticipato ieri sul sito internet dell'Espresso accende la polemica politica sull'inchiesta dei pm napoletani per la presunta estorsione ai danni del Cavaliere, ordita dai coniugi Tarantini e dall'editore dell'Avanti!. La ricostruzione del settimanale si fonda sulla trascrizione di una intercettazione (del 24 agosto scorso) tra il premier e il faccendiere campano. Lavitola è a Sofia e chiede lumi a Berlusconi su possibili «scosse», ricevendo come risposta il consiglio di rimanere in Bulgaria. E se immediati sono stati gli attacchi dell'opposizione (dal Pd a Fli), secca è stata la smentita del legale del presidente del Consiglio, Niccolò Ghedini: «Berlusconi non ha mai detto di restare all'estero. Il presidente si sarebbe limitato a ribadire al Lavitola la sua totale estraneità ad ogni vicenda. (...) non avrebbe avuto motivo di consigliargli di tornare precipitosamente in Italia». Ghedini (nei prossimi giorni sarà ascoltato a Napoli come persona informata sui fatti) ha aggiunto che «a quella data non vi era alcun provvedimento nei confronti di Lavitola (l'ordinanza del gip di Napoli è di una settimana dopo ndr)». Intanto ieri Gianpaolo Tarantini è stato riascoltato a Poggioreale per oltre tre ore dai pm Francesco Curcio, Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock (il verbale è stato secretato). Per il legale Alessandro Diddi «manca ormai davvero poco alla chiusura della fase investigativa, che sarà ultimata martedì ascoltando Berlusconi a Palazzo Chigi. Molto è stato già accertato». L'imprenditore barese, come risulta dai verbali del primo interrogatorio (quello del 3 settembre), ha confermato la sua tesi difensiva, negando sia l'estorsione che il coinvolgimento del premier nell'inchiesta per le escort. E incalzato dai pm che gli prefiguravano una possibile ritrattazione, è stato perentorio: «Berlusconi non c'entra niente e lui non mi ha mai chiesto niente. Le escort le pagavo io, l'ho sempre detto». Il timore di Gianpi era, invece, legato alla scarsa attenzione che il Cavaliere avrebbe potuto riservare ai suoi guai giudiziarie. E qui si inseriscono le pressioni su Lavitola: durante le conversazioni con l'editore napoletano, citare possibili contatti del legale barese (Nicola Quaranta) o boatos riguardanti il procuratore capo di Bari Antonio Laudati diventava funzionale a tenere i riflettori puntati sul caso. Tarantini ha anche riferito nel dettaglio ogni particolare del suo ultimo incontro ad Arcore: «È una domenica di marzo (...) Arriviamo e stacchiamo la batteria a Bergamo noi (...) Io non vedevo il presidente da due anni, ero straimbarazzato, credo mi sia anche commosso in quell'occasione...». Gianpi era in una condizione psicologica precaria. In passato aveva avuto con il premier un rapporto di amicizia («Mi ha conosciuto come una persona brillante (...) Io per Berlusconi ho speso l'impossibile»), mentre ora è diventato di fatto un «questuante». In quel colloquio, però, fu Lavitola a presentare le nuove esigenze di Tarantini al Cavaliere insieme alla richiesta di denaro (500mila euro) per avviare una attività (produzione di protesi). Nell'interrogatorio l'imprenditore ha raccontato anche di aver pregato il presidente di «sistemare» le inchieste, ricevendo una risposta quasi piccata: «Gianpaolo, un mese fa sono stato rinviato io a giudizio, presidente del consiglio, a giudizio per prostituzione minorile, sto per avere mille processi tra Mills, Fininvest, Mondadori, e vieni a chiedere a me?». Il Cavaliere aggiunse anche una considerazione amara: «Ogni volta che qualcuno è coinvolto con Berlusconi, è finito». La tesi difensiva di Gianpi coincide con quella dell'interrogatorio di sua moglie Angela "Nicla" Devenuto: «Allora lui (Gianpi n.d.r.) portava delle amiche, ma delle amiche, erano delle ragazze normali, che facevano lavori comuni, oppure, che ne so, amiche dello spettacolo, la Manuela Arcuri. In mezzo a queste ci sono capitate delle mignotte. Lui è stato superficiale. (...) Il presidente se avesse solo lontanamente fiutato una D'Addario in casa sua, ma gli avrebbe dato un calcio in culo a lei e a lui».