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La manovra allontana il governo tecnico

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il ministro dell'Economia Giulio Tremonti

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Lo spettro del governo tecnico si allontana. Nonostante Beppe Pisanu, senatore «scontento» del Pdl, proprio ieri, in un'intervista a «La Repubblica», sia tornato a chiedere un esecutivo di larghe intese composto da Pd, Pdl e chi ci sta delle forze dell'opposizione. Ma è una richiesta che arriva fuori tempo. Perché se è vero che stavolta il premier ha rischiato più che in altre occasioni di vedersi «commissariare», è anche vero che con l'inasprimento deciso sulla manovra si è garantito di governare fino al 2013. La situazione, fino a lunedì, era davvero appesa a un filo. La Ue ci stava osservando attentamente e i provvedimenti previsti per affrontare la crisi non convincevano neanche un po' Bruxelles. Il richiamo di Giorgio Napolitano, arrivato proprio lunedì, è servito anche a questo, a convincere Berlusconi che stavolta non c'era da scherzare. Una manovra «debole», basata solo sulla lotta all'evasione e senza dati certi avrebbe significato automaticamente esporre il governo a delle critiche fortissime. E a quel punto l'Europa stessa avrebbe premuto per arrivare a un esecutivo tecnico capace di prendere misure più incisive anche se impopolari.  Il candidato a guidarlo? Sempre lo stesso nome che gira da tempo, Mario Monti. Berlusconi ha capito e ha bruciato tutti sui tempi. Ha convocato Tremonti, ha convocato la Lega e li ha convinti che questo era il momento di fare fronte comune, cedere ognuno su qualcosa e ripartire con una manovra più incisiva. La risposta dell'Europa è stata positiva e lo spettro di un governo tecnico è stato allontanata ancora una volta. Anche perché il presidente del Consiglio ha rinsaldato il rapporto con il Quirinale e sa che da quel Colle può arrivargli la protezione maggiore. Napolitano lo ha spiegato chiaramente anche sabato al workshop economico dello studio Ambrosetti a Cernobbio: «Finché la maggioranza ha i voti non c'è alcuna ipotesi di altri governi». Con buona pace di chi, invece, nell'opposizione, vede imminente la possibilità di un esecutivo da grande ammucchiata. Come appunto quello evocato ieri da Beppe Pisanu. «Un patto di fine legislatura», lo definisce il senatore del Pdl, tra «tutti gli uomini di buona volontà», da varare dopo l'approvazione della manovra. A guidarlo, spiega, dovrebbe essere «una figura dotata di credito internazionale e in grado di interloquire con Camera e Senato». Dentro il Pdl, mormorano fonti parlamentari, l'idea non dispiace a più d'uno tra gli scontenti. Ma nessuno, per il momento, lo dichiara apertamente. Si scatenano, invece, i difensori di Berlusconi. «Le larghe intese non sono previste dal metodo democratico», taglia corto Franco Frattini. Aumenta però il numero di parlamentari del Pdl che al premier non chiede di lasciare, ma di cambiare passo, subito dopo la manovra (da Formigoni e Alemanno, ai liberali vicini ad Antonio Martino, agli Scajoliani). Da Berlusconi pretendono che riprenda saldamente la guida del governo, rispetto alle scelte Giulio Tremonti da un lato e ai diktat della Lega dall'altro. Perché così non si può andare avanti. E anche le reazioni dei militanti in Rete («Non vi votiamo più») testimoniano un lento logoramento.

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