La Cgil perde la piazza, lo sciopero fa flop
L'unica vera novità è una versione dance di «Bella Ciao». La canta Susanna Camusso alla fine del comizio che chiude il corteo: «Viva lo sciopero generale», grida dal palco il segretario Cgil. Per il resto è tutto terribilmente uguale alle altre volte. Stesse facce, stessi slogan, stessi nemici. I lavoratori lo hanno capito. Si sono stancati. Così in questo momento di crisi sono molti quelli che hanno scelto di non scioperare. Sulle adesioni è la classica guerra di cifre, ma mentre il sindacato parla di una media del 60%, il ministero della Pubblica amministrazione rende noti i numeri relativi al pubblico impiego: solo il 6,99% dei lavoratori ha deciso di incrociare le braccia. La metà rispetto allo sciopero del 6 maggio scorso (quando si ebbe il 13,28%). Quelli in piazza chiedono «un futuro sicuro». Mettono una targa sui ministri Tremonti, Sacconi, Brunetta. Li vogliono «Dead or alive», vivi o morti. Promettono un «autunno incandescente». Fischiano Cisl e Uil e applaudono quando la Camusso parla di patrimoniale. La scenografia è quella di sempre: bandiere rosse, foulard della pace, magliette di Ernesto Che Guevara. Questa volta ci sono anche alcuni lavoratori in mutande in stile Full Monty. Anche i cori si ripetono: «Te ne vai o no, te ne vai sì o no», urlano contro il responsabile di tutto: Silvio Berlusconi, ovviamente. Qualcuno si rende conto che la crisi ha dimensioni un po' più ampie, che forse in questo caso è difficile addossare tutta la colpa al Cav. Prova a dare il la: «Merkel, Trichet e Sarkozy, la vostra Europa finisce qui», strilla. Ma, niente da fare, il motivetto non decolla. Lei, Susanna, gonna di lino blu appena sopra il ginocchio, camicia bianca con le maniche "rimboccate" in perfetto stile Bersani, e pashmina rossa (il giusto tocco radical chic) in tinta con i sandali, parla di «un Paese che non ci meritiamo». Ribadisce ai lavoratori che lo sciopero «è contro una manovra assolutamente ingiusta e irresponsabile, che scarica tutti i costi sui pubblici dipendenti e sul lavoro» e che «non c'è un'idea sul futuro del Paese e sulla crescita». A infiammare la platea è l'articolo 8 previsto dalla manovra: «Vogliono cancellare lo Statuto dei lavoratori e i diritti. Vorrebbero farci tacere, ma noi non ci rassegniamo al declino, alla disoccupazione, alla crescita della povertà. E anche se la manovra sarà approvata saremo giorno per giorno in piazza con quelli che hanno il coraggio di dire no», minaccia. Tra quelli in piazza per dire no ci sono, tra gli altri, anche Pier Luigi Bersani, Antonio Di Pietro e Nichi Vendola. Il più bersagliato è il segretario del Pd: «Ah Bersani, muoviti - gli urla chi lo incontra lungo il corteo - Non perdere la base. Dì qualcosa di sinistra». Una signora si impietosisce: «Dai famoje un applauso..poverino, intanto lui ci s'é sforzato». Qualcun altro tra i manifestanti ricorda il caso Penati: «Il problema è che lui i soldi non se li è presi per magnà, o pe annà a mignotte. Li ha presi per il partito, è quello il problema», teorizza deluso. La Camusso dal palco ammette: «Ci hanno detto che è uno sciopero politico. E infatti sì, lo è. La politica è una cosa alta, che non ci fa paura. È dell'anti-politica che abbiamo paura noi». Intanto, tra le prime file, un lavoratore - guardando lei e gli altri leader della Sinistra - commenta: «Guarda come so abbronzati. E noi non arriviamo alla fine del mese».