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Il meraviglioso mondo di Bersani

Pierluigi Bersani

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Visti i vantaggi che la sua parte politica, di varie denominazioni e insegne, ha potuto ricavarne per tantissimo tempo, Bersani ha tutto il diritto, direi anzi il dovere, di considerare «meravigliosa», come ha detto nei giorni scorsi, questa Italia definita invece «di merda» da Silvio Berlusconi in una telefonata intercettata dai magistrati di Napoli. E prontamente divulgata dalla stessa magistratura, in un Paese coprofago come è diventato purtroppo il nostro, nel contesto di una indagine in cui il Cavaliere risulta solo parte lesa. Figuriamoci che cosa sarebbe venuto fuori, di quella telefonata e delle tante altre ascoltate dagli inquirenti, se il presidente del Consiglio si fosse trovato nel ruolo di imputato, solitamente riservatogli dalle toghe che si occupano di lui. L'Italia repubblicana, diciamoci la verità, è stata la Bengodi dei comunisti e dei loro epigoni, anche negli anni in cui l'anticomunismo sembrava andasse forte per il piglio con il quale il Ministero dell'Interno, per esempio, era guidato da Mario Scelba. E il segretario del Pci Palmiro Togliatti farciva i suoi comizi elettorali con la promessa di cacciare a «calci in culo» il presidente democristiano del Consiglio Alcide De Gasperi. Con il quale egli aveva peraltro collaborato come ministro della Giustizia per un po' di tempo, sufficiente a fargli avviare, come avrebbe poi raccontato il suo ormai ex segretario Massimo Caprara, una politica di furbesco investimento sulle nuove leve della magistratura. Neanche l'adesione italiana al Patto Atlantico, che con un libero voto del Parlamento ci schierò con gli americani in quella che gli storici chiamano «guerra fredda» contro l'Unione Sovietica e i paesi satelliti, impedì al Pci di essere finanziato da Mosca. E di diventare orgogliosamente, grazie anche a quegli aiuti, il più forte partito comunista d'occidente. Caduto il comunismo con il muro di Berlino nell'autunno del 1989, il Pci tentò di sottrarsi alle sue macerie cambiando più volte nomi e simboli. Che altrove non sono giustamente bastati ad evitare la fine. In Italia invece sono bastati, e avanzati. Per quanto ridotti al lumicino anche nei voti, più che dimezzati rispetto agli anni d'oro del partito guidato da Enrico Berlinguer, gli ex o post-comunisti del Pds, poi Ds, infine Pd, sono riusciti in questo «meraviglioso» Paese a conservare forza e ruolo. E a liberarsi, nel biennio 1992-93, dei loro vecchi avversari targati Dc, Psi, Psdi, Pli e sigle varie della cosiddetta Prima Repubblica affidandone la liquidazione, con processi per concussione, corruzione, concorso in associazione mafiosa e quant'altro ad un sistema giudiziario di cui Togliatti da Guardasigilli, come ho già ricordato, aveva saputo prevedere ed impostare lo sviluppo. Che anche i comunisti nelle loro varie denominazioni partecipassero più di vent'anni fa alla pratica del finanziamento illegale della politica si era capito subito, ma ebbero la fortuna, diciamo così, di uscire quasi indenni dalle indagini giudiziarie ricavandone un senso di impunità che spiega forse le cronache giudiziarie di questi giorni, di Monza e dintorni. Dalle quali si è scoperto l'uso delle tangenti rosse in anni come il 1994, quando cioè democristiani, socialisti e altri per le stesse cose finivano ancora in galera o comunque sputtanati sui giornali. Costretti proprio quell'anno a fare e a perdere i conti elettorali con la imprevista irruzione di Berlusconi nella politica, gli epigoni del Pci sembrarono persi. Ma, appunto, sembrarono. L'Italia è infatti rimasta per loro una terra politicamente meravigliosa. La buonanima di Mino Martinazzoli, l'ultimo segretario della Dc morto ieri, li recuperò ad un progetto di alleanza di cosiddetto centrosinistra. Che sperimentò con la sua elezione a sindaco di Brescia, e da cui sarebbero poi nate con Romano Prodi le esperienze dell'Ulivo e dell'Unione. Ma - cosa ancora più importante per la sopravvivenza degli ex o postcomunisti - scattarono contro Berlusconi micidiali trappole giudiziarie e istituzionali. Oltre all'Italia «meravigliosa», Bersani plaude spesso alla Costituzione «più bella del mondo», anche qui a ragione, sempre dal suo punto di vista. Disseminata di veti, più che di diritti e di garanzie reali, essa ha consegnato il Paese alle esondazioni giudiziarie e rende l'opposizione di fatto più forte del governo. Accade così che, dopo avere avuto il Pci più forte dell'occidente, abbiamo i postcomunisti più protetti e garantiti del mondo: tanto da mettere in imbarazzo anche il migliore dei loro. Che è sicuramente Giorgio Napolitano, al quale ieri non a caso Eugenio Scalfari, al termine dell'abituale omelia sulla sua Repubblica, ha tirato un po' le orecchie, pur «con devoto rispetto», per gli ostacoli che osa ancora frapporre ai tentativi di aggravare la difficile situazione dell'economia e della finanza con una crisi ministeriale. Della quale giustamente il capo dello Stato rifiuta anche l'idea fin quando il governo in carica continuerà a disporre di una maggioranza parlamentare.

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