segue dalla prima di MICHELE DE FEUDIS «Emergeva - è scritto nella nota degli inquirenti campani - secondo la ricostruzione accusatoria, che il Lavitola tratteneva per sé parti consistenti delle somme ricevute dall'On.

Taliiniziative dovevano essere prese dal Tarantini nell'ambito dei procedimenti in cui lo stesso risulta tutt'ora indagato dall'Autorità Giudiziaria di Bari». L'indagine, anticipata dal settimanale Panorama, è partita da un fascicolo stralciato dalle indagini sulle nomine di Finmeccanica nel 2009. Gli inquirenti hanno raccolto «gravi e consistenti indizi in ordine alla ripetuta dazione» da parte di Silvio Berlusconi di somme di danaro e di altri benefici di carattere economico (il pagamento di spese legali, il canone di locazione di una casa, impieghi ed altri incarichi di lavoro) a favore dei coniugi Tarantini. Il presidente del Consiglio, aveva commentato così l'indiscrezione sul settimanale della Mondadori, escludendo di fatto l'estorsione: «Attraverso Lavitola ho aiutato una persona (cioè Tarantini, ndr) e una famiglia con bambini che si è trovata e si trova in gravissime difficoltà economiche. Non ho nulla di cui pentirmi, anzi. Non ho fatto nulla di illecito, mi sono limitato ad assistere un uomo disperato non chiedendo nulla in cambio. Sono fatto così e nulla muterà il mio modo di essere». «Quanto ipotizzato dai pm è pura fantasia. Ho dato una mano ad una famiglia con figli. Lo faccio perché me lo posso permettere», si è limitato a ripetere ieri il Cav. Dalle intercettazioni vagliate dai magistrati napoletani emergerebbe invece la costruzione di una presunta estorsione ai danni del premier, attuata tenendolo sulla corda, mettendolo «con le spalle al muro» o «in ginocchio» in cambio di una condotta processuale che avrebbe evitato ulteriori imprevedibili imbarazzi per il capo del governo. Questo era il tenore delle conversazioni telefoniche intercorse tra Valter Lavitola e Gianpaolo Tarantini, dialoghi nei quali l'imprenditore barese, venuto a conoscenza dal suo legale (Giorgio Perroni) della «dazione» a suo favore di 500mila euro, ma avendone ricevuti solo una parte (il resto sarebbero stati trattenuti dall'editore napoletano), reclamava con forza altro denaro, per poter conservare il suo elevatissimo tenore di vita («ti sto dicendo, cioè se io faccio una vita esagerata no, per come la…la…la descrivi tu, la vita esagerata, io devo consentire a mia moglie di andarsi a vendere le borse? O di andare senza macchina?»). In un'altra intercettazione tra Berlusconi e Lavitola, il premier appare sfiduciato dall'eterna querelle giudiziaria e pronto a gettere la spugna: «Anche di questo - si lamenta il premier - non me ne può importare di meno… perché io... sono così trasparente... così pulito nelle mie cose... che non c'è nulla che mi possa dare fastidio..capito?..io sono uno... che non fa niente che possa essere assunto come notizia di reato... quindi... io sono assolutamente tranquillo... a me possono dire che scopo... è l'unica cosa che possono dire di me... è chiaro?..quindi io... mi mettono le spie dove vogliono... mi controllano le telefonate..non me ne fotte niente, io... tra qualche mese me ne vado per i cazzi miei...da un'altra parte e quindi... vado via da questo paese di merda... di cui... sono nauseato». Intanto l'esponente socialista si è difeso negando di essere latitante e dichiarandosi estraneo ad ogni debito: «Non è vero. Sono all'estero - spiega - per lavoro (...). Come è noto alla Procura, buona parte della mia attività lavorativa si svolge all'estero ormai da qualche anno. (...) È mia intenzione collaborare pienamente con la giustizia per chiarire la questione. Infine, ribadisco con forza che non mi è mai neppure passato per la testa di raggirare il presidente Berlusconi, né di impossessarmi di presunte somme destinate ad una famiglia (i Tarantini, ndr) in difficoltà».