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Laudati: "Sono stato io ad arrestare Giampi"

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Una difesa strenua della serietà e della linearità delle indagini portate avanti come procuratore capo di Bari e la richiesta al Guardasigilli Nitto Palma, come forma di autotutela, di una immediata ispezione ministeriale per sgombrare il campo da possibili sospetti di insabbiamenti nei procedimenti riguardanti il premier. Antonio Laudati ha scelto di ribattere punto su punto ai veleni ed alle interpretazioni delegittimanti seguite alla pubblicazione delle intercettazioni delle telefonate tra l'imprenditore Giampaolo Tarantini e l'editore Valter Lavitola. Il magistrato campano, stante le indagini della procura di Lecce sull'operato degli inquirenti baresi nelle inchieste su Berlusconi, rivendica di aver svolto le sue funzioni «nel più scrupoloso rispetto della legge e senza mai nessun tipo condizionamento». La precisazione scaturisce dalle parole in libertà di Giampi - «(Laudati ndr) ha detto a Nicola (Quaranta, il suo legale ndr) che il suo ruolo è fallito perché lui era convinto di archiviarla» - e si articola in una nota di cinque punti. «Sicuramente - scrive Laudati - le affermazioni contenute nelle intercettazioni telefoniche intercorse tra Tarantini e Lavitola sono inquietanti. La domanda, però, è: sono veri i fatti raccontati?». Per questo Laudati risponde chiarendo che ha incontrato solo un paio di volte gli avvocati del faccendiere barese, e non ha mai parlato con loro degli argomenti riporti nelle conversazioni di Tarantini. Nei confronti dell'imprenditore rivendica una condotta improntata al rigore ed alla severità, avendolo arrestato: «Quando sono arrivato a Bari, il 9 settembre 2009, Tarantini, era indagato dalla Procura per reati gravi, ma continuava ad essere una persona a piede libero che aveva presentato anche una richiesta di patteggiamento "omnibus". Sono stato io a disporre il fermo che ne ha comportato la custodia cautelare per quasi un anno». Da quel momento la posizione di Giampi si è fatta sempre più pesante: «In due anni sono stati aperti ben sette fascicoli a suo carico ed è stato richiesto ed ottenuto il fallimento delle sue società. Tali comportamenti - spiega ancora Laudati - a me appaiono incompatibili con l'obiettivo di archiviare le indagini o di favorirlo». Sul presunto ritardo nelle indagini, il procuratore capo di Bari ribatte con dati alla mano: «Nei numerosi procedimenti aperti a carico di Tarantini sono state richieste ed ottenute decine di misure cautelari solo a seguito di precisi e puntuali riscontri che gli investigatori hanno compiuto sulle dichiarazioni dell'indagato. La tesi accusatoria ha trovato conferma nei vari gradi di giudizio (dal Riesame alla Cassazione), per un procedimento c'è già stata una condanna, per altri è stato richiesto il "giudizio immediato", altri ancora sono in via di definizione». Tecnica, invece, è stata la precisazione sulla possibilità che un patteggiamento potesse mettere in sordina la vicenda: «Nessuna richiesta è stata mai avanzata né poteva esserlo sia in considerazione del numero degli indagati e sia delle ipotesi dei reati contestati». Sull'intervista alla D'Addario pubblicata da Libero e ritenuta strumentale ad occultatare le intercettazioni, Laudati taglia corto affermando che «l'indagine era già conclusa». Infine, rivolge un appello alla celerità nelle inchieste dei magistrati salentini sull'operato della procura di Bari: «Ritengo che un Procuratore se indagato non possa continuare a svolgere il suo ruolo con la serenità e il dovuto prestigio che deve caratterizzare la sua funzione. (...) auspico che in tempi brevi possano essere compiuti tutti gli accertamenti». M. D. F.

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