L'irresistibile Profumo della politica
C'è un certo Profumo nell'aria. A Labro, alla festa dell'Api, l'ex amministratore delegato della Unicredit (liquidato con 40 milioni) ha dimostrato di essere entrato, a spron battuto, nell'alveo degli "ex" che non hanno bisogno di pensare alla politica, perché è la politica che pensa a loro. Il punto è chiaro: in una fase di debolezza storica e strutturale della politica - un evento a dir poco imbarazzante e che ha pochi precedenti nella storia patria -, un banchiere di spessore e con una non banale dimistichezza con il rischio può funzionare. È ad una festa politica che il banchiere spunta fuori. C'è una vecchia battuta di Engels, rieditata da Brecht, che spiega come si possano edificare le banche, ma questo non sarebbe ancora un argomento per discriminare il ruolo di un agente del mercato finanziario internazionale come Profumo. C'è, tuttavia, un "nota bene" da segnalare: in un sistema bancocentrico come il nostro, un banchiere ha poco a che fare con il mercato - nel senso della scoperta e dell'aperta concorrenza -, ma ha molto a che fare con il peso specifico di tutti quei fattori sistemici che reggono un Paese complicato come il nostro. Di banche si vive e si muore. Soffocati. Leggi alla voce "Basilea 3". Quattro milioni e mezzo di pmi possono largamente documentarlo. Eppure, è un banchiere a scuotere le dolenti membra intellettuali della casta terzista e paracentrista. È chiaro: la politica vive oggi proprio una «vita da mediano», per dirla con Ligabue. Tira la volata ad un altro, forse, chissà; certamente si arrovella su nodi e snodi che poco hanno a che vedere con la realtà. Anche perché, se Profumo rappresenta un oggettivo centro di interesse (e di interessi), certo la sua strategia politica non brilla per assiomatica rigorosa. Intanto, il primo passaggio: «La manovra non è adeguata nelle quantità ed assolutamente insostenibile». Dunque, come pensa il banchiere della quarta internazionale finanziaria - il nuovo comunismo finanziario - di correggere il tutto? E poi cosa vuol dire «insostenibile»? È come la leggerezza dell'essere di kunderiana memoria? Non è adeguata, la manovra appunto, per quantità? E cioè? Quanto dovrebbe pesare? E come si trovano i soldi? Lavorando su quali comparti e in vista di quale prospettiva strategico-politica? Non è dato sapere. Ma - ecco il punto - non è neanche necessario sapere tutto ciò. Basta la parola, come per Falqui: l'ha detta Profumo e c'è già tutto un sapore anti-berlusconiano, anti-governativo e filo-europeista, ergo: avanti tutta. È la politica del nichilismo postmoderno: chiunque entri da altre zone, non trova mai l'off limits, la zona rossa. Si dà il caso, però, che per avere autorevolezza, non ci voglia soltanto sobrietà nell'uso dei soldi e dei costumi, ma anche - anzi, soprattutto - idee, idee, idee. Una mezza dozzina di buone idee in una cornice sistemica e strategica decente. Sul punto, andrebbe letto attentamente un aureo libretto del giurista Natalino Irti, dedicato al buon uso delle ideologie, una stroncatura del pragmatismo privo di orizzonti strategici. Le ideologie consentono, ad esempio, di distinguere il grano dal loglio, ossia la strategia da Profumo, ad esempio. Ma andiamo avanti. C'è di mezzo anche la patrimoniale. Capirai. Qui riemerge il bancocentrismo ideologico, che non ha mai consentito alle banche di pagare più dell'11% sulla capitalizzazione complessiva. Tradotto: mi dispiace, non vale. E poi nessuna patrimoniale - provvedimento sempre distorcente per sua natura - potrà mai coprire i buchi strutturali del deficit. Potrà, invece, deprimere gli investimenti strutturali, questo sì. Casini esclama: non ci interessa l'uomo della Provvidenza. Lasciamo la materia ad altre cattedre ben più autorevoli, magari al di là del Tevere. Dunque, è la debolezza imponente della politica a creare il vuoto - paradosso supremo - e, si sa, il vuoto non esiste né nella storia, né in natura. Profumo assevera, severo: «Stiamo ballando sull'orlo del baratro». Magari vorremmo sapere qualcosa di più sulle banche, il loro peso in questa vicenda nazionale, e soprattutto - ma questo è un punto qualificante, sul piano oggettivo -, sarebbe interessante scoprire qualcosa su questo afflato politico dell'ex patron della Unicredit, oggi, a un passo dalla nomina ufficiale di Mario Draghi alla guida della Bce. Europeista di ferro, uno Spinelli della finanza, Profumo, è certamente interessato al ruolo politico della Bce, quest'ultimo, ormai, un player in campo istituzionale, corposamente rilevante nelle aree di altri Paesi. Ne sappiamo qualcosa, in una fase in cui l'euro è la moneta più politica e, dunque, più in crisi in circolazione. Checché ne dicano i soliti "esperti", assai più del dollaro. «Da parte mia - annota il banchiere -, c'è la passione per la politica. A 54 anni mi metto in gioco, se c'è bisogno di un contributo per far funzionare le cose». La politica in un sistema bancocentrico si fa nei consigli di amministrazione. Dunque, ci sta tutta questa passionaccia di Profumo. Anzi, delizia i palati dei non più giovani materialisti dialettici, visto che la giostra dei soldi giace interamente nei forzieri, non violabili, degli istituti di credito. Tutto torna e tutto si tiene. E non deve stupire. Cionondimeno, non deve neanche convincere per forza. Infatti, non ci convince, risultando - questo è il passaggio da documentare con sempre maggiore attenzione - la cartina di tornasole della debolezza imbarazzante della politica, in questo Paese, alla ricerca della sovranità statuale, istituzionale e politica perduta. Ora, una debolezza che vaglia una forza (presunta) può essere credibile?