Salvi i piccoli Comuni ma la protesta non si ferma
Via i gonfaloni listati a lutto, addio alle fantasiose idee (pur ottime per il marketing) di principati indipendenti (la storica battaglia di Filettino per la sopravvivenza è finita addirittura sul New York Times, su un quotidiano giapponese e su una tv olandese) o di future annessioni ora alla Svizzera, ora al Vaticano. I piccoli Comuni sono salvi. Così ha deciso il lungo vertice che ieri ha riunito le forze di maggioranza. L'articolo della manovra che disponeva l'accorpamento dei Comuni al di sotto dei mille abitanti sarà dunque sostituito con un nuovo testo che preveda «l'obbligo dello svolgimento in forma di unione di tutte le funzioni fondamentali a partire dall'anno 2013 nonché il mantenimento dei consigli comunali con riduzione dei loro componenti senza indennità o gettone alcuno per i loro membri». Ridotti di due miliardi, inoltre, i tagli agli enti locali, che avranno maggiori poteri per la lotta all'evasione fiscale e la possibilità di trattenere le maggiori entrate. L'impatto della manovra per Comuni, Province, Regioni e Regioni a statuto speciale viene «sostanzialmente dimezzato», spiega chi ha preso parte all'incontro. Tutto risolto, si dirà. E invece no. Ai sindaci di tutta Italia sembra non bastare. Hanno manifestato per tutto il giorno a Milano contro i tagli. All'auditorium Gaber prima, in marcia fino a piazza della Scala poi. «Siamo noi, siamo noi, la risorsa dell'Italia siamo noi!», cantavano ricorrendo anche ai cori da stadio per protestare contro la manovra bis presentata dal Governo lo scorso 14 agosto. In prima fila, dietro uno striscione su cui campeggiava lo slogan «Giù le mani dai Comuni» e ritrae il governo come uno squalo a fauci aperte pronto a ingoiarsi i pesci più piccoli, ovvero proprio i Comuni, in realtà, di pesci grossi ce n'erano parecchi. C'era il primo cittadino di Roma Gianni Alemanno, il sindaco di Milano Giuliano Pisapia e quello leghista di Verona Flavio Tosi. Presenti anche il primo cittadino di Torino Piero Fassino, il sindaco di Bari Michele Emiliano, il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni. È Osvaldo Napoli, presidente facente funzioni dell'Associazione nazionale dei Comuni italiani a mettere le cose in chiaro, a riunione conclusa: «Dal vertice di maggioranza è venuto qualche timido riconoscimento per la situazione finanziaria degli Enti locali ma, in attesa di conoscere i dettagli dell'accordo di maggioranza, il giudizio si configura più negativo che positivo», è il suo primo commento. In serata la tregua si avvicina: «Le notizie più precise che arrivano dall'accordo di maggioranza riferiscono di una riduzione dei tagli agli Enti locali che è di 3 e non di 2 miliardi. Una differenza significativa e un risultato certamente apprezzabile rispetto alle ipotesi meno rassicuranti della prima ora - spiega Napoli, che però aggiunge - Si può migliorare ancora». La battaglia, insomma, continua. Nemmeno l'incontro in prefettura a Milano con il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ha sbloccato la situazione. Una delegazione di sindaci bipartisan (tra loro anche Fassino, Alemanno e Pisapia) ha consegnato al ministro un documento che annuncia la possibilità di «forme di disobbedienza istituzionale come l'interruzione di tutte le attività di servizio e collaborazione dello Stato». In concreto, questo potrebbe portare a una interruzione del servizio di anagrafe o delle ordinanze urgenti. Ma nessuno vorrebbe arrivare a tanto. Certo, la situazione rimane grave, come ha sottolineato chi, fascia tricolore in mano, quando la piazza ha intonato l'inno di Mameli, parlando evidentemente di un altro sindaco presente di sua conoscenza, ha esclamato: «Se anche i leghisti cantano l'Inno d'Italia vuol dire che siamo messi davvero male».