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Penati affonda ancora

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Filippo Penati

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Rinunciare alla prescrizione. Glielo avevano chiesto praticamente tutti. Solo ieri mattina il segretario milanese del Pd Roberto Cornelli era tornato all'attacco: «Sono garantista e non chiedo dimissioni a chi ha avuto un avviso di garanzia, ma la rinuncia alla prescrizione sì». Così, in serata, poco prima che la direzione provinciale del partito si riunisca, arriva la replica di Filippo Penati. Contenuta in una lettera inviata allo stesso Cornelli e al presidente provinciale Ezio Casati. L'ex braccio destro di Pier Luigi Bersani conferma la propria estraneità: «Non ho avuto in passato, e non ho oggi, conti all'estero o tesori nascosti. Non ho preso denaro da imprenditori e non sono mai stato tramite dei finanziamenti illegali ai partiti a cui sono stato iscritto. Con la politica non mi sono arricchito». Adesso, prosegue, «ho un unico obiettivo ristabilire la verità dei fatti, la mia onorabilità e ridare serenità alla mia famiglia. E ristabilire la mia onorabilità significa per me uscire da questa vicenda senza ombre e senza macchie». Per questo, spiega Penati, «se al termine delle indagini, che sono tuttora in corso, tutto non verrà chiarito, non sarò certo io a nascondermi dietro la prescrizione». Insomma «lo sviluppo delle indagini è ancora lontano dall'essere concluso», ma l'ex sindaco di Sesto San Giovanni vuole uscire dall'angolo: «A tutti voglio ribadire che non accetterò, in alcun modo, un esito che lasci dubbi e zone oscure e a tutti voglio garantire che farò quanto necessario perche ciò avvenga». Per questo, prosegue, «chiedo alla politica di essere garante anche nei miei confronti del diritto che ha ogni cittadino di poter svolgere una difesa efficace e di non subire, soprattutto nella fase iniziale dell'indagine, pressioni politiche o non politiche di alcun genere». Bersani applaude: «Ha fatto tutti i passi indietro che poteva fare. Spero che prima o poi qualcuno di questi commentatori attenti che, giustamente, seguono questa vicenda chiedano anche ma Berlusconi, Verdini, Scajola, Milanese, come si stanno comportando? Noi abbiamo un altro modo; presunzione di innocenza sì, però passi indietro». E chissà se basterà questo «passo indietro» per aiutare Penati a rialzarsi. Da ieri infatti nel registro degli indagati, con l'accusa di concorso in corruzione, è finito pure Maurizio Pagani, manager del gruppo Intesa San Paolo e responsabile Infrastrutture e Finanza di Progetto del gruppo. L'accusa riguarda uno dei "capitoli" su cui si stanno concentrando in questi giorni le indagini degli inquirenti: l'acquisto nel 2005, da parte della Provincia di Milano allora guidata da Penati, del 15% delle quote dell'autostrada Milano-Serravalle detenute dal Gruppo Gavio. Un'operazione che venne criticata dall'allora sindaco del capoluogo lombarado Gabriele Albertini, che la definì inutile ma anche onerosa, in quanto Palazzo Isimbardi pagò 8,973 euro ogni quota che a Gavio era costata 2,9 euro, permettendo così al costruttore di guadagnare 179 milioni di euro. Sentito a verbale dai pm, il 30 giugno 2010, l'imprenditore Piero Di Caterina, "grande accusatore" di Penati, ha parlato di «una tangente pagata per la vendita della Milano Serravalle» a «favore di Penati e Vimercati (il suo ex braccio destro)» e di «incontri» e «trattative» a cui avrebbe partecipato, tra gli altri, anche «un rappresentante di Banca Intesa, tale Pagani». Proprio sulla base di queste dichiarazioni, i pm hanno iscritto Pagani nel registro degli indagati e i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria della Gdf di Milano hanno eseguito nei giorni scorsi delle perquisizioni nella sua abitazione e nel suo ufficio. Nel «filone» Serravalle ci sono, scrivono i pm nel decreto di perquisizione, «gravi indizi sulla base di dichiarazioni de relato (quelle di Di Caterina appunto ndr) sull'illiceità della costruzione di una operazione finanziaria per l'acquisto a prezzi fuori mercato di azioni comprensivo di un ritorno economico» per i partecipanti all'operazione. Nic. Imb.

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