«Uccideremo Gheddafi»
I ribelli vogliono il raìs morto Riapre a Tripoli l'ambasciata italiana
.Dopo 42 anni non ci saranno feste. La Rivoluzione verde è naufragata, nel sangue. La rivolta del 17 febbraio, dopo sei mesi ha cacciato Gheddafi e il suo clan. Ma il raìs è libero e può ancora contare su truppe fedeli. In Libia nemmeno i festeggiamenti per la fine del Ramadan, il primo Eid al Fitr senza Muammar Gheddafi al potere, hanno interrotto la caccia al Colonnello. Nessuno sa dove si nasconda l'ex leader libico, ma ormai il Consiglio Nazionale Transitorio ha rinunciato all'idea di catturarlo vivo. Il ministro dell'Interno degli insorti, Ahmed Darrad, ha rivendicato il «diritto di uccidere» Gheddafi se non si consegnerà: «Lui ci uccide, è un criminale e un fuorilegge. In tutto il mondo, se un criminale non si arrende, chi fa rispettare la legge ha diritto di ucciderlo», ha avvertito dopo essersi detto certo che il raìs sia ancora nel Paese. È finito nelle mani dei ribelli il ministro degli esteri di Gheddafi: Abdelati Obeidi, è stato arrestato dagli insorti aovest di Tripoli. L'Italia ha annunciato per oggi la riapertura dell'ambasciata a Tripoli, chiusa da più di cinque mesi e devasttata dai fedelissimi del Colonnello. A renderla operativa sarà un team formato da diplomatici, funzionari amministrativi ed esperti appena giunti a Tripoli. La Francia era stata fra i primi Paese europei a riaprire l'ambasciata, lunedì scorso. La Nato sta intensificando i raid sull'area della Libia in cui si pensa possa essere riparato Gheddafi: la costa centrale, tra la sua città natale di Sirte, Bani Walid, dove è già stata segnalata una sua ipotetica presenza, e Hun. Intanto filtrano notizie che vedrebbero pronto alla resa il terzogenito di Gheddafi, al Saadi, noto in Italia per aver giocato brevemente e senza troppo successo nel campionato di calcio di serie A con il Perugia. Dato da più parti come latitante insieme con il padre e con il fratello Saif al-Islam, Saadi avrebbe comunicato ai ribelli di essere addirittura pronto a unirsi a loro, secondo quanto riferito da Abdelhakim Belhadj, capo del Consiglio Militare insurrezionale. Ma la Cnn riferisce che Saadi ha negato di avere in programma di arrendersi, dicendo che le forze anti-Gheddafi non vogliono negoziare. «Preferirei arrendermi ad un vero governo piuttosto che a questa gente», ha detto in un messaggio a un reporter Saadi, secondo la Cnn. Sulla scia della caccia all'uomo, gli insorti hanno annunciato di aver arrestato il 23 agosto scorso, giorno della caduta del bunker di Bab al Aziziya, un personaggio di spicco della cerchia di Gheddafi, sperando che li possa portare sulla pista giusta per catturarlo. «Nagi Ahrir è stato arrestato lo scorso 23 agosto a un posto di blocco mentre stava tentando di fuggire in Tunisia con in tasca circa 29.000 dinari (23.000 dollari)», ha spiegato il colonnello Salem Kherfa. «Continueremo a interrogarlo», ha assicurato. Preoccupata dalle ritorsioni nei confronti dei lealisti e dalle violazioni dei diritti umani, l'Ue è tornata a chiedere al Cnt di rispettare il diritto internazionale per una «questione di credibilità» mentre la comunità internazionale si prepara a rispondere alle prime esigenze dell'imminente dopo-Gheddafi nella Conferenza internazionale di oggi a Parigi. In attesa della riunione del Gruppo di Contatto, ora «Amici della Libia» di stamattina a Parigi, presente la Russia e persino la Cina come osservatore, i Paesi occidentali continuano a scongelare i fondi del regime, forti del via libera Onu. La Royal Air Force ha inviato in Libia un aereo con 950 milioni di sterline in contanti (1,057 miliardi di euro) per la Banca Centrale libica, controllata dagli insorti del Cnt. Si tratta di 1,86 miliardi di dinari libici stampati dalla zecca britannica. La somma servirà a pagare ai dipendenti pubblici gli stipendi arretrati. Prime rivelazioni dai documenti trovati negli uffici del servizio segreto del regime. Alcuni documenti dell'Interior Security Agency, agenzia per la sicurezza interna del governo libico, mostrano come il regime del Colonnello Muammar Gheddafi fosse preoccupato dalla minaccia rappresentata dall'Islam radicale. I documenti ottenuti dal Washington Post danno prova della lunga campagna intrapresa da Tripoli per sradicare i militanti islamici, considerati una minaccia per il regime. I file mostrano come i funzionari libici seguissero i movimenti dei militanti di Al Qaeda e condividessero le informazioni sulle cellule estremiste con le agenzie di intelligence di altri Paesi, fra cui anche quelle americane.