Ma Tonino ha già condannato il Pd
Antonio Di Pietro è sempre stato un magistrato prestato alla politica. Col tempo, forse, è diventato più politico che magistrato, ma la sua anima togata non è mai scomparsa del tutto. Così, ogni volta che una vicenda giudiziaria fa tremare il Palazzo, lui torna in tribunale. E poco importa che sul banco degli imputati siedano amici o nemici, Tonino attacca. Stavolta tocca al Pd e a Pier Luigi Bersani. Perché sarà anche vero che il segretario democratico non ha alcuna responsabilità, che gli addebiti mossi al suo ex braccio destro Filippo Penati sono assolutamente personali e riguardano un periodo lontano, ma per Di Pietro questo non basta. Non è ancora la logica del «non poteva non sapere», ma poco ci manca. Il leader dell'Idv la spiega così intervenendo a 24 Mattino su Radio 24: «Quando una nave va a sbattere sugli scogli sarà pure colpa del nostromo, ma la responsabilità oggettiva se la porta a casa il comandante della nave». «La responsabilità penale è personale - prosegue - ma il Pd che fa? Una cosa è la responsabilità penale e una è quella politica. Il Pd se lo tiene ancora in bilico con la sospensione o gli dice "Penati, amico mio, quella è la porta. Vai in pace?" Bisogna interrompere immediatamente questo rapporto fiduciario fino a quando quel signore non giustifica i suoi comportamenti. I fatti usciti non sono beghe politiche, c'è una questione morale che va affrontata». Quindi un affondo anche sulla decisione di Penati di non rinunciare, per ora, alla prescrizione: «Una persona che tiene al suo onore a prescindere dagli eventi processuali non può che rinunciare alla prescrizione. Alla prescrizione rinuncia chi si ritiene intimamente innocente, gli altri preferiscono la scorciatoia. Quindi certo che deve rinunciare se vuole tornare bianco come un lenzuolo, altrimenti rimarrà sempre sporcato». Parole dure che confermano la «presunzione di colpevolezza» già espressa da Di Pietro in un'intervista al Mattino: «Vedo che l'accusa è irrobustita da un'accurata documentazione. Per chi è accusato sarà difficile dimostrare la propria innocenza». Per questo il leader dell'Idv chiede ai Democratici di dire «"no" ai contributi dei privati», si tratta di «una sfida che riguarda tutti. Perché io mi auguro che anche il centrodestra si presenti alle elezioni con uno schieramento pulito». Insomma per Bersani, che domani riunirà il coordinamento per discutere anche degli sviluppi dell'inchiesta di Monza, è il tempo del «fuoco amico». Situazione molto simile a quella di Piero Fassino e Massimo D'Alema che, in occasione del caso Unipol, finirino sulla graticola con Tonino sempre nella parte del «grande accusatore». A Di Pietro replica il tesoriere del Pd Antonio Misiani: «Ha fatto una clamorosa autocritica, quando ha detto che se la nave va sugli scogli è colpa del comandante. Siamo sicuri infatti che si riferisse alle candidature di De Gregorio e di Scilipoti». Ma al di là delle schermaglie è chiaro che, all'interno del Partito Democratico il caso Penati sta creando più di un imbarazzo. E Walter Veltroni non usa mezzi termini: «È una vicenda gravissima che colpisce molto seriamente l'elemento fondativo del Pd, nato per girare pagina e inaugurare un nuovo modo di fare politica combattendo corruzione e illegalità. Non c'è dubbio che il Pd si sta comportando in modo completamente diverso dal Pdl ma questo non deve essere un'attenuante e bisogna andare fino in fondo: rispettare la magistratura, applicare gli strumenti dello statuto e auspicare che Penati non si avvalga della prescrizione».