Aspettando il colpo di scena
Piuttosto che formulare previsioni, impossibili nello scampolo di questo lunghissimo agosto, conviene esprimere solo auspici sul vertice odierno tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi. Mai come ora, neppure tornando con la memoria alla tarda estate del 1994, che pure fu la vigilia della loro prima clamorosa rottura, a pochi mesi soltanto di distanza dalla vittoria elettorale conseguita insieme, i rapporti fra i due protagonisti della cosiddetta seconda Repubblica e i loro rispettivi partiti si sono intrecciati con le sorti del Paese. Che francamente non si sa se sia destinato, dopo l’incontro di oggi e le modifiche che potranno derivarne alla manovra finanziaria e fiscale all’esame del Senato, più ad uscire da una crisi che è insieme economica e di sistema o a inabissarsi ancora di più. Già, perché questo rischio c’è, eccome. E dipende dal pervicace rifiuto della Lega, rimasta troppo presto orfana dell’unico e vero ideologo che ha avuto, Gianfranco Miglio, di sottrarsi ai doveri di un partito di governo. A costo anche di sembrare un visionario, spero ancora in un colpo di scena. Che rovesci il teatrino deludente della festa leghista nel bergamasco dove il segretario del Pdl Angelino Alfano e i ministri del Carroccio Roberto Maroni e Roberto Calderoli, l'uno rassegnato e gli altri due gongolanti, hanno annunciato che le pensioni di anzianità "non si toccano". Come se fossero mai state minacciate da tagli e sovrattasse. E' stato in discussione nei giorni scorsi, e spero che torni ad esserlo, solo il lusso che il Paese non si può più permettere di erogarle ancora in anticipo rispetto all'età media in cui si smette di lavorare in tutta Europa, e altrove. È un lusso, quello delle pensioni anticipate di anzianità, che Maroni, anche se finge di averlo dimenticato, conosce bene per essersene occupato come ministro del Lavoro nel 2004, quando decise di metterle al giusto passo con l'introduzione di quello che fu chiamato allora uno "scalone". E che la sinistra con il secondo e fortunatamente ultimo governo di Romano Prodi due anni dopo rimosse, o quasi, procurando un aggravio dei conti dello Stato unanimemente valutato in 10, dico dieci, miliardi di euro. Fu una decisione, quella, di una totale irresponsabilità finanziaria, politica e sociale, riconosciuta come tale in questi giorni anche nel maggiore partito di opposizione, il Pd dell'amletico Pier Luigi Bersani, fra gli altri, dal presidente della regione Liguria Claudio Burlando e dal senatore Enrico Morando. Ma Bossi, con la complicità persino di Maroni e di tutti gli altri dirigenti della Lega, aspiranti o no che siano alla sua successione, non ha voluto saperne di mettervi riparo. E, insultando alleati e avversari, ha battuto di tutto sul tavolo, anche il gomito che poi si è fratturato in casa. Questa storia delle pensioni anticipate di anzianità, erogate peraltro con il vantaggioso sistema retributivo e destinate a rendere agli interessati ben più dei contributi versati, visto l'allungamento medio della vita, grida semplicemente vendetta. Specie agli occhi dei giovani che sanno di dover trovare anche per questo, quando capiterà a loro, delle pensioni da fame, se mai riusciranno a maturarne e trovarne una. Sono una vergogna pari solo a quella delle Province sopravvissute alla istituzione degli enti regionali, anch'esse difese dalla Lega con un misto di sfrontatezza e di penose furbizie, o a quella di tante dissestate e male amministrate aziende municipali al cui risanamento, con il ricorso alle privatizzazioni, si oppongono o resistono i dirigenti locali e nazionali del Carroccio. I costi economici e sociali che la Lega con queste dissennate scelte impongono al Cavaliere e al Pdl per proseguire nell'alleanza di governo, e risparmiare al Paese, nel bel mezzo di una turbolenza planetaria dei mercati, quella crisi ministeriale reclamata dalle parti peggiori dell'opposizione, e dalla solita Cgil già ricorsa allo sciopero generale, sono destinati a vanificare anche il salutare ripensamento maturato, salvo smentite, sul fronte della maggiore tassazione degli stipendi, delle pensioni e dei redditi superiori ai 90mila euro lordi l'anno. Che costituiscono la soglia oltre la quale, secondo la manovra fiscale di ferragosto uscita dalle supermeningi del ministro Giulio Tremonti, comincerebbero in Italia le praterie dei ricchi, le vene d'oro- pensate un po'- del Paese. Eppure negli Stati Uniti d'America la soglia reddituale della ricchezza, oltre la quale scatta il massimo del prelievo fiscale, è di 250 mila dollari. Nella più vicina Francia la soglia appena indicata per applicarvi una maggiorazione fiscale, che in Italia si chiama ipocritamente contributo di solidarietà sociale per sottrarla al rischio di un giudizio di illegittimità costituzionale, è di ben 500mila euro lordi l'anno. Sarebbe proprio bello se oggi Bossi spiazzasse tutti, a cominciare dai suoi, e si facesse convincere da Berlusconi a cambiare registro e spartito. Troppo bello per essere vero e non buscarsi invece l'ennesima, solita pernacchia.