Non servono spie contro l'evasione
Ha giustamente sorpreso, anzi scandalizzato, la proposta della Lega di combattere l'evasione fiscale incoraggiando i delatori con premi commisurati all'entità dei tributi che essi dovessero riuscire, con le loro segnalazioni o denunce, a fare recuperare allo Stato. Ne ha scritto, in particolare, ieri sul Corriere della Sera Dario Di Vico rinfacciando, fra l'altro, ai leghisti la campagna condotta nel 1996, in sintonia con l'allora Forza Italia, per quanto i due partiti non fossero ancora tornati ad allearsi, contro il numero verde 117 della Guardia di Finanza. Che era stato istituito dal primo governo di Romano Prodi per facilitare appunto la delazione fiscale, pur senza incentivi. Si teorizza una pratica sicuramente odiosa, provvista anche di non pochi inconvenienti nella versione della partecipazione dei delatori agli utili dell'erario. Se questi utili infatti dovessero mancare per incapacità del Fisco di realizzarli, il delatore di turno che fa? Gli fa causa per non aver saputo o, peggio, voluto fare il suo lavoro? O il Fisco, nel caso di inconsistenza e arbitrarietà della delazione, che gli ha solo fatto perdere tempo e soldi nelle azioni di accertamento e di contestazione, fa causa all'autore della segnalazione o denuncia e si fa pagare i danni? Via, la cosa non sta obbiettivamente in piedi né nella versione prodiana, senza premio ai delatori, né nella versione con premio maturata nella Lega in questa ormai pazza estate. In cui al povero Umberto Bossi, tra pernacchie e parolacce distribuite fuori e dentro il suo agitatissimo partito, è capitato anche di rompersi il gomito. La tentazione è forte, lo ammetto, ma non gli dico se l'è andata a cercare. Uno Stato, o più semplicemente un governo capace di coniugare buon senso e coraggio, per combattere finalmente e davvero l'evasione, non ha bisogno né di numeri verdi né di tangenti ai delatori. Gli basterebbe e avanzerebbe il riconoscimento reale, non parziale o effimero, e per giunta in via di riduzione o abolizione nei progetti del cosiddetto superministro Giulio Tremonti, della deducibilità delle spese nelle denunce dei redditi. A quel punto il gioco dell'evasore della porta accanto sarebbe veramente finito perché perderebbe la sponda del disinteresse, o dell'omertà, su cui ha potuto contare sinora. Cesserebbe d'incanto la storia del falegname, dell'idraulico, dell'elettricista, del meccanico, del dentista, del medico, dell'orefice, del gioielliere, dell'avvocato, del ristoratore che ci forniscono più o meno abitualmente i loro servizi, chiamiamoli così, senza rilasciarci uno straccio di ricevuta o fattura. O offrendoci, nel migliore dei casi, uno sconto irrisorio, che appare sempre un affare al contribuente che di una ricevuta o fattura non saprebbe che fare per mancata o scarsa deducibilità delle spese ai fini fiscali. Il Fisco non avrebbe in questo modo bisogno di comperare o corrompere nessun cittadino per farlo diventare un suo fedele e convinto collaboratore. E per tagliare finalmente le unghie ai tanti che ingrassano con l'evasione, protetti peraltro dalle loro agguerrite associazioni di categoria. Che tutti i partiti, senza distinzione di colore, a destra, a sinistra e al centro, sono abituati a pesare, temere, corteggiare, rispettare, venerare - lascio a voi la scelta del verbo giusto - per i voti che rappresentano. O che si ritiene che possano muovere quando si va a quei tavoli da poker che sono spesso le urne, almeno quando ci si arriva senza onore e gloria, come capita alla cattiva politica.