Il Pdl non tartassi il popolo degli onesti
Un auspicio che nasce dal cuore di coloro che hanno seguito, sin dagli inizi, l'avventura politica di Silvio Berlusconi nella speranza di veder realizzata quella «rivoluzione liberale» che avrebbe dovuto garantire la modernizzazione politica del Paese ridimensionando la presenza dello Stato nella vita dei cittadini e alleggerendoli dall'oppressione fiscale. Un auspicio, dunque, autenticamente liberale, per la difficile «mediazione» di Angelino Alfano: che il «partito degli onesti», come il suo neosegretario ha definito il Pdl, non si schieri contro il «popolo degli onesti», quello dei cittadini che lavorano sodo e pagano le tasse fino all'ultimo centesimo. La mediazione è particolarmente difficile perché dovrebbe trovare un punto d'intesa fra due concezioni profondamente diverse dell'economia e della società. Da una parte c'è tutta una cultura, di matrice socialista e statalista con propaggini assistenzialiste, che difende il principio secondo il quale una grassatoria imposizione straordinaria sui redditi medio-alti – pudicamente definita «contributo di solidarietà» – sarebbe non già una tassa nel senso proprio del termine quanto piuttosto un prelievo straordinario e occasionale destinato a coprire un grosso buco di bilancio: sarebbe, insomma, un salasso salutare. Come quelli, verrebbe da aggiungere, che i cerusici d'altri tempi applicavano ai pazienti togliendo loro il sangue e, spesso, portandoli non già alla guarigione ma alla morte. In realtà, il contributo di solidarietà, così come è stato prospettato, è una tassa. Una tassa vera e propria, ma soprattutto insopportabile ed eticamente ingiusta perché colpisce il ceto medio produttivo, il quale è anche – non va dimenticato – il mondo dei consumatori. Una tassa che è, pure, comparativamente, iniqua perché ha un occhio di riguardo per quei «supericchi» cui è riservata la possibilità di optare per una aliquota triennale che porterebbe, annualmente, il prelievo sui loro redditi dal 42% al 48% con un aggravio del solo 6%. Alfano ha manifestato freddezza nei confronti della proposta di Luca Cordero Montezemolo di tassare con una patrimoniale i grandi capitali perché agli uomini del Pdl «le nuove tasse procurano l'orticaria» e perché la patrimoniale risulta loro «particolarmente odiosa» dal momento che incide su beni già «tassati anche più di una volta». Il che è certamente vero, ma è anche vero che il contributo di solidarietà è una patrimoniale mascherata ed estesa, per di più, a una fascia debole di contribuenti. Con questi argomenti appare davvero difficile riuscire a convincere gli elettori di centrodestra che il governo non abbia tradito la promessa elettorale di non mettere le mani nelle tasche degli italiani. La verità è che la mano viene messa non solo nelle tasche ma anche nei taschini dei poveri elettori. E tutto ciò – quali che ne siano le giustificazioni legate alla crisi internazionale – non può che appannare il carisma di Berlusconi e generare fosche previsioni sul suo futuro politico. Dall'altra parte vi è una combattiva pattuglia di parlamentari che propongono ricette alternative in linea con una classica visione liberale e liberista: aumento dell'Iva, dismissione del patrimonio immobiliare dello Stato, interventi razionalizzatori sul sistema previdenziale e pensionistico. Si tratta, pur sempre, di ricette dure, ma coerenti con una filosofia precisa che tende a privilegiare l'imposizione sui consumi rispetto a quella sui redditi, la diminuzione della presenza dello Stato nell'economia e il ridimensionamento dell'assistenzialismo pubblico. Si tratta, insomma, di ricette destinate a incidere, in tempi medio-lunghi, sulle caratteristiche strutturali del sistema economico e politico. Angelino Alfano si trova a dover «mediare» fra queste due visioni, l'una socialista e l'altra liberale, e a doversi confrontare con i dikat di una Lega arroccata nella difesa del fortilizio di privilegi corporativi insostenibili alla luce della teoria economica classica. Non è un compito facile. È, anzi, quasi impossibile. Del resto, la prospettiva di risolvere il dilemma costringendo le componenti del Pdl ad accettare una soluzione decisa dall'alto in nome di un «vincolo di coalizione» sarebbe ancora più negativa per l'immagine di un partito che intende farsi portatore di ideali e valori liberali: è stato già penoso lo spettacolo di un Consiglio dei ministri che ha adottato «all'unanimità» una manovra e che si è visto contestarne, subito dopo, alcuni punti essenziali da alcuni di coloro che l'avevano votata. Più che «mediare», in questa situazione, Alfano deve scegliere. E l'auspicio è che scelga, come si diceva in apertura, in modo tale che il «partito degli onesti» non si schieri contro il «popolo degli onesti».