L'Umberto furioso
Toni pesanti, a volte sgradevoli, con stoccate più personali che politiche. L'intervento di Ferragosto di Bossi a Ponte di Legno è questo. Ma liquidarlo come la solita uscita pecoreccia e aggressiva del leader della Lega sarebbe sbagliato, come lo fu nel 1989 derubricare il movimento nascente a fenomeno folkloristico passeggero. Ad analizzare bene le parole del leader della Lega si notano tre registri distinti, ognuno dei quali destinato a una platea diversa: la propria base elettorale, gli alleati di governo, le opposizioni. Con un gusto per la provocazione studiato per dare risonanza al resto dei messaggi lanciati. «È arrivata la fine dell'Italia, questa è la verità». Lo scenario apocalittico serve al leader della Lega per ricordare che «se Tremonti non vende i titoli di Stato non riesce a pagare pensioni e sanità». Insomma «siamo al dunque, bisognava fare un po' di tagli altrimenti l'Europa stavolta ci uccideva». Ma dove andare a pescare? Bossi sa che il suo elettorato comprende una larga fascia di imprenditori, ma anche molti anziani, dunque era fondamentale non cedere su questi punti. Ma ancor più importante farlo sapere, dando alla battaglia un valore simbolico... «Nella scelta - ha detto Bossi - ho avuto qualche problema di coscienza: salvi i poveracci che non riescono a mangiare o i Comuni che se la cavano? Dobbiamo salvare gli Enti locali, ma non a costo di affamare i poveracci, perché l'economia si sviluppa dal basso. Non avevo alternativa e mi sento la coscienza a posto, agli Enti locali ci penseremo dopo». Bossi ha rivendicato il merito di «aver salvato le pensioni», ma per smarcarsi dal gioco di squadra dove a vincere è il Governo nella sua collegialità, ha dato in pasto ai suoi fedelissimi un «nemico» contro il quale si è lottato e vinto: Brunetta. «Abbiamo litigato tutto il giorno e per poco non siamo passati alle vie di fatto», ha detto riferendosi a una telefonata arrivata in Consiglio dei Ministri al collega Brunetta da parte di Bankitalia. «A Brunetta - ha raccontato - ho detto «nano di Venezia, non rompere i coglioni». Roba da mandare in visibilio la rude platea in piazza e contemporaneamente su tutte le furie gran parte dei colleghi di governo. Non a caso - al di là delle inevitabili stroncature dei «modi rozzi» fatte dall'opposizione - anche il capogruppo Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto è dovuto intervenire chiarendo che «la tesi di un intervento sulle pensioni non era solo del ministro Brunetta e della Banca d'Italia, ma anche di alcuni di noi e ha fatto parte della legittima dialettica che ha caratterizzato l'elaborazione della manovra». Il gusto della provocazione serve a Bossi anche per mandare chiari segnali all'opposizione: «Meglio un governo come quello attuale, che usa la sponda dei Responsabili, piuttosto che appoggiarsi, come fece Romano Prodi, nel 2006, sui senatori a vita. Quando si ha bisogno, ci si regge con i voti che si può trovare, meglio Scilipoti di quella scienziata», ha detto riferendosi a Rita Levi Montalcini. E poi ancora a Bersani: «Non ho capito cosa vuole, lo capirò quando gli parlo a Roma, se lo vedo». Infine ne ha anche per i centristi: «L'altra volta la presenza di Casini, Buttiglione e Follini è stata disastrosa»; e a proposito di un ravvicinamento Berlusconi-Fini ha detto: «Non so nulla, ma fino a che c'era Fini era più facile governare». «Senza i voti di Fini..", ha però aggiunto. Altro che boutade di mezz'estate: più chiaro di così. Infine quel «sano» populismo che serve a rinsaldare il popolo padano: il richiamo ai terroni, le parolacce, la «nostra gente». Bossi parla con un filo di voce, ma sa come produrre l'eco.