Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

Camilla Conti A corto di liquidi.

default_image

  • a
  • a
  • a

Ciòsignifica che stiamo per assistere a un nuovo credit crunch, una stretta del credito che dopo aver travolto gli istituti si abbatterà sulle imprese cui verranno chiusi i rubinetti dei prestiti. Esattamente come era successo nell'agosto del 2007. Tre indizi fanno una prova. Il primo è apparso sulle pagine del Wall Street Journal, secondo cui la Federal Reserve ha avviato uno stretto monitoraggio sulle riserve di cash delle banche estere operanti negli Stati Uniti. L'assunto di fondo è che si sia avviata una sorta di «guerra della liquidità» tra le due sponde dell'Oceano: gli Usa temono che le branch americane degli istituti europei stiano dragando risorse per trasferirle nel Vecchio continente. Il secondo indizio è che il campanello di allarme è suonato quando un istituto di credito europeo (il nome è rimasto top secret) ha chiesto 500 milioni di euro in dollari alla Bce. Un finanziamento costato carissimo: il tasso è stato dell'1,1%, rispetto all'interbancario sui prestiti a 7 giorni (0,88%). La banca in questione, fa notare il macroeconomista Mario Seminerio «potrebbe avere avuto difficoltà a rinnovare propri debiti denominati in dollari e si è quindi dovuta rivolgere alla Bce, che a sua volta ha accesso alle linee di swap della Fed». Il ricorso delle banche dell'Eurozona al bancomat di Francoforte, che eroga prestiti a un tasso del 2,25% contro l'1,5% del tasso di rifinanziamento ufficiale, è balzato a un nuovo massimo degli ultimi tre mesi mentre i depositi sono drasticamente calati. «Questo è stato forse il maggiore catalizzatore dell'ultima ondata di vendite sui titoli del credito, perché sembra prefigurare una gelata sull'interbancario», aggiunge Seminerio. Tradotto: se le banche europee devono ricorrere alle linee in dollari della Bce, è perché non trovano accesso altrove. Il terzo indizio arriva dalla Svizzera dove una banca avrebbe fatto ricorso alla liquidità della Federal Reserve attraverso un'operazione di riacquisto da 200 milioni di dollari effettuata con la Swiss National Bank (SNB), ovvero la Banca centrale elvetica. Ieri due colossi come Ubs e Credit Suisse hanno subito precisato di non avere problemi: «Ubs non ha utilizzato lo strumento della Fed attraverso la SNB», ha dichiarato il gruppo con un comunicato stampa. Stessa smentita da Credit Suisse, che ha precisato poi che i suoi «finanziamenti e le sue posizioni di liquidità sono molto forti in tutte le principali valute e specialmente in dollari». Precisazioni che non hanno allentato la pressione sui titoli in Borsa. Il copione, del resto, è stato già visto. I problemi sul mercato interbancario (da cui gli istituti ricavano circa il 40% del fabbisogno di denaro, lo stesso che raccolgono con i depositi) ebbero un ruolo centrale nella crisi di liquidità che tre anni fa costrinse Lehman Brothers a chiudere e molte rivali a ricapitalizzare per miliardi. Il passo seguente fu la contrazione del credito mondiale che mise in ginocchio le aziende. In questo contesto gli istituti italiani, dopo aver raddoppiato l'accesso al finanziamento in euro presso la Bce, potrebbero essere l'anello debole della catena. «Si butteranno a fare raccolta e fermeranno gli impieghi. Qualcuna lo ha già raccomandato alla rete», riferisce un banchiere ricordando anche che i bilanci degli istituti italiani sono imbottiti di BTP e che le banche nostrane guadagnano troppo poco rispetto ai concorrenti europei ed extra-europei. «Il vero tallone d'Achille – aggiunge - è la qualità del portafoglio crediti che peggiora costantemente dal 2008 e costringe trimestre dopo trimestre a fare rettifiche che deprimono l'utile netto». Nel frattempo, secondo gli ultimi dati di Confcommercio si è ampliata l'area di imprese associate che si vedono rifiutati finanziamenti dalle banche, pari al 29,6% rispetto al 25,8% del trimestre precedente. Il credito bancario è da qualche mese riservato solo alle aziende con buoni risultati di bilancio e indebitamento contenuto, che non sono più del 50-60% del totale delle nostre pmi. Lo spostamento del credito in massa sui rating migliori è la nuova legge a cui nessuna banca si vuole sottrarre, così aumentano solo i finanziamenti alle imprese che hanno meno bisogno e che di conseguenza hanno capacità di indebitamento. Ma il cane rischia di mangiarsi la coda: più si chiudono i rubinetti e non si salvano le imprese in crisi e più peggiorerà il portafoglio crediti delle banche impoverendone l'utile a fine anno. La lezione del Credit Crunch del 2007 non è servita.

Dai blog