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Ritorno al passato

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diALESSANDRA SERVIDORI È opportuno spiegare che l'articolo 8 della manovra non modifica affatto l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, andando oltre la demagogia di cui è affetta la sinistra politica e sindacale che con una grave sindrome di coazione a ripetere, trova sempre il modo di schierare le sue truppe in difesa dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori anche quando la norma non è minacciata da nessuno. È stato così infatti anche al momento del difficile percorso del «collegato lavoro» nonostante che la materia del licenziamento fosse esplicitamente esclusa dalla clausola compromissoria in materia di arbitrato. Oggi, nel contesto della supermanovra di ferragosto, viene nuovamente chiamato in causa - impropriamente - il solito "presunto assalto" all'articolo 18 con riferimento a quanto previsto all'articolo 8 del Titolo III del decreto, che si limita soltanto ad affidare alla libera determinazione delle parti sociali la regolazione, mediante la contrattazione collettiva, degli effetti e delle conseguenze di un licenziamento ritenuto dal giudice privo di giusta causa o di giustificato motivo. Oggi nelle aziende che occupano più di 15 dipendenti il recesso illegittimo è sanzionato in sede giudiziaria con la reintegra nel posto di lavoro. Questa disciplina è sicuramente da annoverare tra le cause del "nanismo" della struttura produttiva italiana (poiché le imprese fanno il possibile per mantenere una dimensione che le sottragga dall'applicazione dell'articolo 18) nonché del dualismo del mercato del lavoro e quindi della diffusione anomala dei rapporti flessibili e precari. La reintegra non può essere inclusa tra i diritti inderogabili dei lavoratori per un dato molto semplice ed evidente: una quota importante - forse addirittura maggioritaria - del mondo del lavoro occupata nelle aziende con meno di 15 dipendenti può disporre soltanto - a termini di legge - di una tutela di carattere risarcitorio ragguagliata ad alcune mensilità di retribuzione nel caso in cui il recesso sia giudicato ingiustificato. Tutto ciò è tanto più vero se si considera che gli italiani hanno confermato questo assetto normativo facendo mancare il quorum in un referendum che voleva estendere l'applicazione dell'articolo 18 della legge 300 del 1970 a tutti i lavoratori a prescindere dalle dimensioni dell'impresa. Che cosa si propone adesso il ministro Maurizio Sacconi con il nuovo articolo 8 del decreto di ferragosto seguendo una impostazione a cui tiene molto? Si tratta di consentire alle parti sociali di derogare, mediante la contrattazione di prossimità (ovvero quella più vicina all'impresa) dalle normative uniformi per valorizzare, invece, le effettive differenze, assumendosi anche la responsabilità di promuovere flessibilità organizzative e produttive. L'articolo 8 del decreto legge consente, infatti, ad organizzazioni comparativamente più rappresentative di negoziare, tra le altre materie, anche gli effetti e le conseguenze del recesso dal rapporto del lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio e per quello in occasione di matrimonio (che mantengono il diritto a reintegra). Non vi è, quindi, nessuna revisione per via legislativa dell'articolo 18 della legge 300, ma si concede alle parti di negoziare, in particolari condizioni del mercato del lavoro in una determinata area del Paese, una tutela più leggera (il risarcimento del danno) in caso di licenziamento ritenuto illegittimo dal giudice, salvi i casi già citati in cui non sono ammesse deroghe. Sempre nel Titolo III, va notata la norma salva-Fiat, i cui accordi di Pomigliano, Mirafiori ed Ex Bertone erano stati espunti dall'intesa del 28 giugno scorso. Grazie al decreto questa data non avrà più alcun ruolo discriminante, in quanto basterà che vi sia stata l'approvazione da parte della maggioranza dei lavoratori perché l'accordo raggiunto in azienda abbia validità erga omnes. Va poi segnalata, oltre al controllo sulle pratiche di tirocinio, l'importanza di una disposizione di carattere penale allo scopo di contrastare l'intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro. Così stanno i fatti al di là della propaganda.

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