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Macelleria fiscale per una rapina

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I forconi. O, bene che vada, lo sciopero fiscale. Il tutto accompagnato da una depressione generale dell'economia, dalla fuga dei capitali, dal ritiro dei risparmi dalle banche e dal tentativo di nascondere sotto il materasso o sotto il mattone la poca liquidità rimasta nelle tasche degli italiani dopo la stangata di mezzo agosto. Questo lo scenario, molto realistico e poco fantapolitico, che ci aspetta al rientro dalle ferie. L'indignazione popolare di fronte a una manovra come quella appena varata - una manovra che non è di «macelleria sociale», come dicono e scrivono gli esponenti di centro-sinistra o di sinistra, ma di «macelleria fiscale» - rischia di esplodere in forme difficilmente controllabili e contenibili. Cosa potrà accadere infatti quando gli italiani - o quanto meno una parte consistente di essi - si accorgeranno di non avere neppure più la liquidità sufficiente per pagare le gabelle imposte da un governo vorace e approvate da un Parlamento costituito di deputati e senatori sempre più percepiti come parassiti del corpo sano del paese: quello che si rimbocca le maniche, che lavora, che produce, che rispetta le leggi, che paga le tasse fino all'ultimo centesimo? E che, per ringraziamento, viene tartassato e derubato per rimediare a buchi di bilancio dei quali non ha nessuna colpa? Cosa potrà accadere quando i cittadini qualunque non saranno più disposti a pagare per mantenere i privilegi dei politici e degli amministratori pubblici, della Casta, cioè? Privilegi grandi e piccoli, che vanno ben oltre il concetto del cosiddetto «costo della politica» e sono un insulto, oltre che al buon senso, al principio di eguaglianza fra i cittadini. Indipendentemente dalla sua quantificazione economica è grave, gravissimo, quanto meno dal punto di vista morale, il fatto, per esempio, che i parlamentari possano percepire un assegno di fine rapporto non tassabile o che possano viaggiare gratis o telefonare senza costi o, ancora, che possano andare al ristorante spendendo per un pranzo completo una decina di euro o giù di lì. O che possano usufruire di vantaggi dei quali il comune cittadino non è neppure a conoscenza. E che paga con il sudore della sua fronte. La situazione è molto più pericolosa di quanto si pensi. È al limite di rottura. E questo «aggiustamento di manovra» - come si ha il coraggio o l'impudicizia di chiamare una nuova «stangata» aggiuntiva a una manovra socialista e depressiva - non fa altro che rendere sempre più esplosiva una situazione di disagio sociale che può, facilmente, alla ripresa autunnale, deflagrare in forme e con modalità capaci di mettere a rischio l'equilibrio e la pace sociali del paese. È davvero incredibile che la Casta non si renda conto del pericolo che sta correndo e che sta facendo correre all'intero paese. La sua insensibilità, peraltro, è la dimostrazione della propria lontananza dal mondo reale dei cittadini e della propria incapacità di coglierne i tanti e in equivoci segnali non di irritazione ma di vera e propria indignazione. Ma non basta, C'è anche un aspetto politico che si aggiunge a quanto detto e che riguarda il mondo del centro-destra. La «manovra» e il «rafforzamento della manovra» - per usare una terminologia che cela il nome vero di questa operazione, e cioè: «rapina» agli italiani - vanno a colpire, tra gli altri, tutti gli elettori del centro-destra, quelle fasce di popolazione che si sono illuse e hanno creduto nel sogno della possibilità di dar vita a un governo liberale fondato sui principi del libero mercato e della democrazia concorrenziale. La «manovra», prima, e il «rafforzamento della manovra», poi, hanno strappato il velo e messo a nudo il Re. Il governo, questo governo Berlusconi, che essi hanno sostenuto con determinazione, anche turandosi il naso, si è rivelato ben diverso da quello che intendevano avere e che era stato loro promesso. Sognavano un governo liberale e liberista. E si sono trovati un governo socialista e statalista, con qualche appendice di fascismo: e il riferimento al fascismo non riguarda tanto la componente di Alleanza Nazionale, quanto piuttosto quella leghista, arroccata in una brutale difesa di interessi puramente corporativi. Auspicavano un governo democratico che avesse come principio base quello del rispetto delle istituzioni - perché la forza di una democrazia sta nella «sacralità» delle istituzioni - e si sono ritrovati un governo che ha fatto strame delle istituzioni, che ha confuso il pubblico con il privato, che ha lasciato spazio alla confusione dei poteri. E si potrebbe continuare a lungo. Desideravano un governo unito all'interno, compatto e in grado di ammodernare le strutture del Paese e si sono ritrovati un governo diviso all'interno, incapace di portare avanti una linea e di varare una riforma vera, che non fosse soltanto una declamazione di intenti: un governo frazionato da personalismi e da lotte interne. Un governo allo sbando, insomma, nel quale gli odi sono permanenti. Mi torna alla mente il caso di uno dei più grandi diplomatici della storia, Pozzo di Borgo. Era, in gioventù, un antico compagno di giochi e di studi di Napoleone Bonaparte. Ne divenne, forse più per invidia che per reali motivi politici, il maggiore feroce avversario al punto da essere l'artefice delle coalizioni antinapoleoniche. Al Congresso di Vienna, Pozzo di Borgo, facendo un velato ma esplicito riferimento alla battaglia di Waterloo che aveva visto l'imperatore dei francesi sconfitto dalla coalizione che egli riuscito a mettere in piedi, se ne uscì orgogliosamente con una battuta: «Sono stato io a gettare l'ultima palata di terra sulla tomba di Napoleone». È quello che, forse, potrebbe dire oggi Tremonti nei confronti di Berlusconi. E di tutti i liberali. Sempre che ne abbia il tempo. Perché, non dimentichiamolo, i forconi sono dietro la porta.

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