Il Colle firma il decreto ma apre alle modifiche
Il Quirinale firma il decreto approvato due giorni fa dal governo. Una manovra da 45,5 miliardi che anticipa il pareggio di bilancio al 2013 con tasse (molte) e tagli (pochi). Con un comparto sui costi della politica insufficiente e di facciata. Il presidente Napolitano ha richiamato la necessità del confronto in Parlamento. Non è un caso visto che a 24 ore dall'approvazione del provvedimento si sono aperte le prime crepe. Protestano innanzitutto gli imprenditori, che preferirebbero misure per tenere sotto controllo la spesa per le pensioni oltre che l'aumento dell'Iva. Netta la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia: «In questo modo si recuperano in modo strutturale risorse fino a 7 miliardi in due anni e si può ridurre il prelievo di solidarietà sul ceto medio, che rischia di avere una funzione depressiva superiore al previsto». Il «contributo di solidarietà» non piace nemmeno ad alcuni esponenti del Pdl. Due giorni fa erano quattro, ieri sono diventati nove. A Guido Crosetto, Isabella Bertolini, Lucio Malan e Giorgio Stracquadanio si sono aggiunti Antonio Martino, Giuseppe Moles, Giancarlo Mazzuca, Santo Versace, Alessio Bonciani e Deborah Bergamini. Sostengono che le tasse sono troppe e che presenteranno alcuni emendamenti. Ma le cose non vanno granché bene nemmeno in casa Lega. Sono scontenti i maroniani, tanto che in serata il ministro Roberto Calderoli ha lanciato l'avvertimento: «Chi fa distinguo è fuori». Come a dire: decide Umberto Bossi, il capo è ancora lui. Pochi giorni di vacanza, poi il Parlamento si rimetterà in moto per approvare la manovra. Il cammino del provvedimento partirà il 22 agosto al Senato. L'obiettivo è di portarlo in Aula il 5 settembre, per poterlo votare il giorno seguente. Ma un calendario così ravvicinato impone la necessità di costruire un clima di collaborazione, di evitare cioè le tensioni che si sono riaccese nelle ultime ore. Tanto che Napolitano è tornato a chiedere alle forze politiche di non farsi tentare dalle polemiche: «Resta ferma la necessità di un confronto aperto in Parlamento e sul piano sociale attento alle proposte avanzate con la responsabilità che l'attuale delicato momento richiede». Anche il presidente del Senato è preoccupato. «Ho apprezzato la decisione del presidente del Consiglio - spiega Schifani - di non mettere preventivamente la fiducia, decisione confermata oggi da Tremonti. A questo punto confido che questa scelta si accompagni alla volontà di considerare la manovra come un cantiere aperto, dove possano essere prese in esame alcune proposte dell'opposizione in una logica di collaborazione tra tutte le forze politiche». Poi ha aggiunto: «Quando si chiedono sacrifici ai cittadini, nulla è perfetto e tutto è perfettibile. Il confronto, quindi, è doveroso e utile per verificare se le ragioni degli altri contengano elementi che inducano a rivedere le proprie scelte iniziali. Il percorso parlamentare che stiamo tracciando assicurerà un esame tempestivo e non prolungato nel tempo della manovra ma consentirà anche la possibilità, sia in commissione sia in Aula, di poter lavorare tutti insieme in modo costruttivo». Anche il premier si è detto sicuro del fatto che alle Camere «non ci saranno scossoni». Ma i mal di pancia restano.