Senato meglio della Caritas
Pasta al pomodoro 1 euro e 60 centesimi, bistecca di manzo 2 euro e 68, frutta 76 centesimi, dessert del giorno 1 euro e 74. Non è la Caritas ma il ristorante del Senato. Mentre si discute la manovra lampo che chiederà nuovi sacrifici agli italiani e che, probabilmente, il Consiglio dei ministri varerà già oggi, va in giro per il Web il menù di Palazzo Madama. Un'inchiesta de L'Espresso l'ha pubblicato. Semplice fare i conti: pochi spiccioli per pranzi luculliani. Prosciutto e melone 2 euro e 33, risotto con rombo e fiori di zucca 3 euro e 38 centesimi, pesce spada alla griglia 3 euro e 55 o petto di pollo 2 euro e 68. Le insalate a 1 euro e 43, i formaggi a 1,74. Ma la pacchia finirà presto perché dopo le proteste su internet il presidente del Senato, Renato Schifani, ha annunciato che da settembre i prezzi saranno adeguati a quelli che pagano i comuni mortali al ristorante. Merito di un ordine del giorno approvato a Palazzo Madama poche settimane fa. Fin dalla mattinata di ieri l'ironia e lo sconcerto del popolo di internet hanno martellato: il pranzo alla buvette a 1,50 euro? «Poverini. Hanno troppe spese, almeno su questo possono risparmiare, su». Il popolo di Facebook ha scherzato sul menù offerto al Senato, svelato sul settimanale dal deputato dell'Idv Carlo Monai. Ma c'è anche chi si è indignato: «Facciamo sentire il nostro disgusto contro l'ultima "vergogna" messa a segno dalla "casta" di Palazzo Madama: il pranzo alla buvette dei senatori costa 1 euro e 50». E c'è anche chi ha commentanto: «Semplicemente disgustoso.....Ma quanto rimborsa poi lo Stato per ogni pranzo alla società che gestisce la buvette per ogni pranzo?». Difficile saperlo. Non manca chi, ormai sfiduciato, è semplicemente «senza parole». Altri navigatori hanno ripercorso l'elenco dei prezzi: pasta al ragù 1 euro e 50; roast beef 2 euro; birra 1,60; caffè 42 centesimi; pasticcino 0,46; aperitivo o ammazzacaffè 0,93». E poi ancora: spremuta 92 centesimi; panino col prosciutto 1,17; tramezzino 96 centesimi; cappuccino 58 centesimi; tè con fette biscottate 84 centesimi. Un pasto medio costa intorno ai dieci euro. L'iva non viene applicata perché, come in tutti gli esercizi interni alle aziende private o alla pubblica amministrazione, non è previsto dalla legge. Si tratta infatti di un servizio che non ha scopo di lucro: viene fornito per agevolare la vita dei lavoratori, anche se di alto rango, come si presume che siano i parlamentari. La gestione del ristorante del Senato è affidata ad una ditta privata, la Gemeaz Cusin, con sede a Milano. Il Senato fornisce il locale al piano terra in stile liberty: quasi 200 metri quadrati coperti, su una superficie di circa 400 metri quadrati, cucine a parte. E anche le attrezzature per la cottura, le tovaglie, i bicchieri e le posate. Queste ultime debbono essere periodicamente rinnovate perché recano lo stemma senatoriale e sono spesso «predate» come souvenir. Soltanto quelle costano 40 mila euro ogni anno. Ovviamente il prezzo pagato dagli avventori per il pasto non basta a pagare le spese. Così per ogni coperto del ristorante la «Camera alta» deve raddoppiare la cifra corrisposta dai commensali. L'operazione costa circa 1.200.000 euro l'anno. Le cose cambieranno presto. L'ufficio stampa del Senato ricorda che «in sede di approvazione del bilancio interno è stato approvato un ordine del giorno specifico (G100) che intende porre a carico degli utenti del ristorante del Senato il costo effettivo dei pasti consumati». Ed è ancora l'ufficio stampa a rendere noto che «il presidente del Senato, Renato Schifani, ha già invitato i senatori questori ad assumere nel più breve tempo possibile tutte le necessarie iniziative e decisioni». Dal canto suo, è soddisfatto il deputato dell'Idv, Carlo Monai, che ha sollevato il «polverone» mediatico: «Bisogna dare segnali di sobrietà. Certo, è un gesto simbolico, ma in un momento come questo non possiamo vivere in un giardino dell'Eden». Monai ha promesso che continuerà la sua battaglia per il taglio dei costi della politica e che rivelerà altri particolari della vita da parlamentare, come il servizio di contestazione delle contravvenzioni dei deputati che, «dopo la mia denuncia è stato chiuso».