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Il governo si è arreso. Ora c'è la prova

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Quando i governi perdono possibilità di scegliere perdono anche ragione d'esistere, e se, in quelle condizioni, non cadono non vuol dire che sono forti, ma che l'intero Paese è bloccato. A nessun governo piace aumentare la pressione fiscale, ma il nostro lo sta facendo, per necessità, non solo dopo avere promesso il contrario, ma dopo essersi arreso e avere abbandonato ogni velleità riformatrice. Una crisi finanziaria che comporta il taglio della spesa pubblica, una situazione in cui è urgente rilanciare la produttività, una congiuntura che sollecita la vendita delle partecipazioni pubbliche nelle imprese che non c'è ragione siano statali, dovrebbe essere la cuccagna, per un governo di centro destra, giacché le misure necessarie coincidono con i programmi di liberalizzazione, privatizzazione e deburocratizzazione. Invece, purtroppo, misuriamo il fallimento di tali politiche e il ripiegare su ricette buone per tutti i governi e per cui tutti i governi sono buoni. Fa rabbia, insomma, non il dovere scucire altri soldi (chiesti sempre alle persone oneste, a quelle che dichiarano il proprio reddito), ma la montagna d'occasioni perse. Si cominciò nel 2001, quando il governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, denunciò l'esistenza di un buco nei conti pubblici, lasciato dai governi di sinistra, e il governo di centro destra lo negò. Ma come?! Era l'occasione per mettere mano a grandi riforme e tagli, in un'era (che oggi appare dorata) di bassi tassi d'interesse. Invece si preferì raccontare che tutto andava per il meglio. Eccoci qui: anche dopo l'abolizione dell'Ici sulla prima casa la pressione fiscale reale è aumentata e adesso arriva la nuova strizzata. Non solo, ma si torna alla stucchevole retorica dei «redditi alti», laddove si dovrebbe, semmai, avere parole di rispetto e ammirazione per i «redditi onesti», vale a dire dichiarati. Contribuenti per bene cui si torna a chiedere senza offrire contropartite: niente riforme, niente programmi di cambiamento, neanche gesti concreti che dimostrino consapevolezza di quanto la disillusione possa divenire esplosiva. Niente. Anzi, nel mentre qualche saccente discetta del «commissariamento» europeo, in realtà trattandosi di una cessione di sovranità avvenuta già con la fissazione dei parametri che avrebbero portato all'euro, assistiamo ad una competizione interna al governo fra chi riesce a farsi commissariare prima, e meglio, dal Quirinale e dalla Banca d'Italia, da Napolitano e Draghi. Il che va malissimo, perché neanche in quei due palazzi risiede la capacità di cambiare l'Italia, ma solo di dar qualche botta alla lattoniera dei conti. Faremo, dicono, la riforma degli articoli 41 e 81 della Costituzione: la prima per scatenare la libertà economica e la seconda per il pareggio di bilancio. Ma va là, lasciate perdere! Raccontatevele fra di voi, queste fanfaluche. A che serve scrivere che è consentito tutto quel che non è proibito (principio già contenuto nell'ordinamento) se non siete capaci di riformare la giustizia e, quindi, se al cittadino per bene s'infliggono dieci anni (e più) di calvario prima di comunicargli che aveva ragione? Vi siete fatti fregare lustri e avete sprecato occasioni, il tutto per annaspare dietro accuse talora ridicole e talora imbarazzanti, ma sempre privi della capacità di mostrare il lato collettivamente nocivo della malagiustizia. Vi siete curati dei cavoli vostri, male per giunta. Avreste potuto risolvere in qualche mese, se solo aveste avuto idee e palle. Invece avete invertito le collocazioni, con i risultati che si vedono. In quanto al pareggio di bilancio, guardatevi attorno: siamo fra i più bravi al mondo, mentre gli altri spendono, difatti cresciamo meno. Che cavolo di ricetta è: spenderemo sempre meno? Qui il problema è spendere meglio, riqualificare la spesa pubblica, esternalizzare, privatizzare e avere il coraggio delle battaglie, senza farsela sotto come sull'acqua (con i moraleggianti espertoni silenti, che il cielo li fulmini). A tutto questo l'81 è sovranamente inutile. V'è anche venuto in mente di cancellare le feste (ma non quelle religiose, pii come notoriamente siete). Lo fate perché non riuscite a cambiare un mercato del lavoro nel quale si lavora troppo poco. Otterrete un solo risultato: passerà un Ciampi futuro e ripristinerà le feste, dandovi lezioni di patriottismo parolaio. Bravi. Pagheremo. Gli italiani per bene lo hanno sempre fatto. Ma chi ne avrà occasione porterà all'estero le proprie attività. Perché chi è onesto e capace già paga più del 60%. Una follia. Mentre al governo siede chi sosteneva che sopra il 33 è una rapina. C'è l'emergenza, lo so. La descrivemmo per tempo, parlando con il muro. Sapete che vi dico? Se questa è la politica di cui siete capaci richiamate in servizio la vecchia Democrazia Cristiana.

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