Altruisti e virtuosi con i soldi degli altri
Sembrerebbe che ancora una volta gli «altruisti» stiano vincendo. Com'è noto sono altruisti coloro che vogliono fare del bene con soldi altrui, se volessero farlo con soldi propri li chiamerebbero «propristi»! Gli altruisti da alcuni decenni stanno difendendo quanto avevano faticosamente (per noi) costruito: uno Stato sociale che si prende cura di tutti e ognuno non solo dalla culla alla tomba, ma dall'erezione alla resurrezione. Cosa ci sia di sociale nella faraonica struttura del welfare all'italiana non è del tutto chiaro: tassiamo i meno abbienti per fornire gratuitamente (sic) i farmaci ai benestanti, graviamo di balzelli l'artigiano per consentire al futuro dentista di non sopportare per intero il costo della sua istruzione universitaria, tartassiamo i volenterosi che aspirano a, e sono in grado di procurarsi, un futuro migliore, col risultato di impedirglielo e di condannarli a restare ai più bassi gradini di reddito, in modo da fornire un reddito alle burocrazie comunali, provinciali, regionali e statali. Chi è già ricco non ha motivo di temere l'esosità del fisco, deve solo liquidare la parcella di un buon tributarista che trova il modo di fargliela fare franca in modo perfettamente legale. I difensori di questo capolavoro di spreco, inefficienza, corruzione e iniquità sostengono che la colpa di tutto è dei contribuenti italiani che si rifiutano di comprendere che pagare le tasse è bellissimo, come opportunamente aveva loro cercato di far capire il compianto Tommaso Padoa-Schioppa. Sembrano credere che se il gettito di tutte le imposte dirette - Ire (già Irpef), Ires (già Irpeg) e Irap - è pari solo al 14,6% del prodotto interno lordo la colpa è degli evasori e che, se solo la lotta all'evasione avesse successo, tutto andrebbe nel migliore dei modi nel migliore dei mondi possibile. Perdonatemi se mi ripeto: il costo dell'apparato pubblico non è misurato da quanto esso incassa, ma da quanto spende. La spesa pubblica è finanziata con denaro proveniente da tasche private, dalle quali viene prelevato con tutte le imposte possibili e con l'indebitamento. Se l'apparato pubblico spende, come adesso, il 51,2% del reddito nazionale, il suo costo è pari al 51,2% del nostro reddito. Ognuno di noi mente quando dice di essere avvocato, giornalista o artigiano, siamo tutti prima di tutto contribuenti - la nostra attività principale è pagare tasse dalla mattina alla sera - e, nel tempo residuo, svolgiamo un'attività che ci consente anzitutto di mantenere il pubblico e, con quel che resta, noi e le nostre famiglie. Questo sistema è condannato dalla logica delle cifre, come hanno capito persino gli svedesi, e gli altruisti non potranno evitare che venga, prima o poi, abbandonato. Continuano, tuttavia, a tentare di impedire l'inevitabile e, così facendo, stanno sistematicamente distruggendo l'economia italiana. Una guerra persa non ci messo a terra, ci siamo rimboccate le maniche e abbiamo ricostruito l'Italia; ma, se gli altruisti continuano a fare inseguire una spesa pubblica fuori controllo dalla crescita esponenziale delle tasse, non avremo la stessa opportunità. Un sistema sanitario costosissimo, caratterizzato da frequenti incredibili episodi di malasanità, corrotto e indebitato fino al collo; un'amministrazione della giustizia che nelle graduatorie internazionali si colloca dopo quella dell'Uganda; una scuola che, a parte le meritevoli eccezioni, sforna un gregge di fanatici ignoranti cui non ha saputo insegnare neanche a leggere, scrivere e far di conto; una università ricca di facoltà e materie di insegnamento che servono solo a far avere un reddito agli insegnanti, condannando gli studenti alla disoccupazione (un laureato non può accettare un lavoro manuale o comunque non all'altezza del suo titolo di studio); un sistema pensionistico che consente a persone in età lavorativa di percepire una pensione e di svolgere un lavoro in nero, frodando così due volte l'erario e distorcendo la concorrenza (le imprese che assumono in nero hanno costi più bassi delle altre); ferrovie che servono più a quanti vi lavorano che non ai viaggiatori; poste, rese del tutto obsolete dal progresso tecnico, che hanno solo l'obiettivo di dare da vivere ai dipendenti, e così via all'infinito. La strenua resistenza degli altruisti al cambiamento, tuttavia, volge alla fine: fra non molto avranno spremuto a morte anche l'ultimo contribuente, a meno che gli italiani non si rendano conto che la pazienza dei popoli è la mangiatoia dei tiranni e si decidano una buona volta a ribellarsi. È un esito pericoloso, come potrebbero confermare Giorgio III e Luigi XVI (per una rivolta fiscale il primo perse la sua migliore colonia e il secondo la testa), ma è sempre meglio che continuare a dargliela vinta.