Le banche fanno gola
Hanno i fondamentali solidi, si sono ricapitalizzate e hanno superato gli stress test; eppure le banche sono da settimane stritolate dalla speculazione. Cosa si cela dietro questo attacco? La giornata di ieri ha visto ripetersi il solito copione. Unicredit ha concluso in ribasso del 5,77%, Ubi del 5,50%, Mediolanum e Intesa SanPaolo del 5,24%, Bpm del 5,04%, Mediobanca del 4,59%. In calo finale anche Mps (-3,28%) dopo aver provato nel corso della seduta a rimanere in territorio positivo. Di contro in terreno positivo le banche inglesi: Hsbc è cresciuta dello 0,43%, Standard Chartered dello 0,19%, Barclays ha concluso con una limatura dello 0,12%. Quindi sono andate particolarmente male le banche della zona euro (-3,32% l'indice Djstoxx specializzato) mentre hanno sostanzialmente tenuto quelle di Londra. Questo confermerebbe la spinta dagli hedge fund con base nella capitale inglese, nella speculazione contro i Paesi considerati più deboli della zona euro e quindi soprattutto contro l'Italia e la Spagna. «Se la moneta unica saltasse - afferma qualche operatore - ci guadagnerebbero solo le banche con base a Londra, che si rafforzerebbe come centro non solo azionario». Unicredit e Intesa Sanpaolo si sono trasformati nel tempo in colossi. Hannno una governance solida e piani di sviluppo che non si sono fermati nemmeno con la crisi. Insomma sono concorrenziali e possono dar fastidio. Ieri il Comitato di stabilità finanziaria ha ribadito che il sistema bancario italiano è solido. È successo però che nonostante la loro forza intrinseca la capitalizzazione è stata erosa progressivamente dalla speculazione. Il valore dei grandi gruppi si sta sgretolando di seduta in seduta e la quotazione rispecchia solo una frazione del patrimonio netto tangibile. Oggi la somma delle capitalizzazioni dei principali istituti italiani, vale a dire Unicredit, Intesa Sanpaolo, Ubi, Monte Paschi, Banco popolare e Bpm è pari a 53,6 miliardi, ovvero la metà di quanto solo nel 2007 valeva Unicredit. Nel settembre 2008, pochi giorni prima del fallimento di Lehman Brothers, Unicredit aveva già dimezzato il proprio valore di borsa a 49,5 miliardi. Sembrava una follia. Ma oggi, a tre anni di distanza, la capitalizzazione di Unicredit è pari a 21,7 miliardi. In pratica nemmeno il valore di Piazza Cordusio sommato a quello di Intesa Sanpaolo (21,8 miliardi), raggiungono assieme la capitalizzazione di Unicredit di tre anni fa. Altro esempio: Monte Paschi vale quasi la metà di quanto ha offerto per acquistare Antonveneta (9 miliardi). Questi numeri potrebbero riaccendere gli appetiti dei concorrenti stranieri. Tra i gruppi tecnicamente scalabili rientrano proprio i due principali istituti bancari del Paese: Intesa Sanpaolo e Unicredit, la cui capitalizzazione di Borsa si è ridotta rispettivamente a 23,5 e a 22,7 miliardi di euro. E se Cà de Sass può contare su una base azionaria più nutrita e coesa (le Fondazioni detengono poco più del 25% del capitale), in Piazza Cordusio i grandi soci rappresentano meno del 15% del capitale. E non rappresentano un baluardo nemmeno le Fondazioni che non dispongono di fondi da mettere nelle banche per contrastare potenziali assalitori. Il parere degli analisti è che il mercato usa i titoli bancari come se fossero strumenti finanziari derivati sull'Italia. Soffrono una sorta di identificazione con il Paese. Intesa Sanpaolo e Unicredit risultano essere i due istituti europei più esposti nei confronti del debito pubblico italiano: il primo ha in portafoglio oltre 60 miliardi di titoli, 10 in più dell'altro.