Cannonate sulla folla. Ecatombe in Siria
I carri armati sono entrati ad Hama una delle città simbolo della rivolta, compiendo un massacro: secondo testimoni diretti, i morti sarebbero più di cento, almeno 80 per gli attivisti dell'organizzazione Sawasiah, centinaia i feriti. Con la solita ipocrisia tipica dei regimi totalitari, l'agenzia ufficiale, che addossa la responsabilità degli scontri «a gruppi armati», ha parlato solo della morte di due militari nell'incendio di posti di polizia. In realtà - alcuni video rilanciati sul web danno prova inconfutabile dell'accaduto - i colpi dei carri armati hanno cominciato a colpire la città, che si trova 210 chilometri a nord di Damasco, con un ritmo di quattro al minuto: i militari hanno preso a sparare con le mitragliatrici pesanti contro la gente, travolgendo le barricate erette dagli abitanti. Decine i corpi, molti di donne a bambini, abbandonati per le strade, e gli ospedali pieni di feriti, secondo quanto riferito da Abdel Rahmane, presidente dell'Osservatorio siriano per i diritti umani. E il dramma non è finito sotto le sventagliate dell'artiglieria: secondo alcuni testimoni, i giovani hanno cercato in ogni modo di proteggere le loro famiglie, temendo che le forze di sicurezza e la polizia segreta andassereo a rastrellare casa per casa i manifestanti. Un'azione premeditata che, seguendo una tattica tipica delle operazioni di repressione del regime, ha visto tagliate le forniture di acqua e di elettricità nei quartieri centrali di Hama. Sotto assedio dell'esercito da circa un mese e simbolo della rivolta che ha portato in piazza fino a 55mila persone in tutto il paese, la città di Hama non è stata la sola ieri al centro di scontri fra forze di sicurezza e manifestanti. Come ad Harasta, ala periferia di Damasco, dove almeno 42 persone sono rimaste ferite dal lancio di bombe a frammentazione da parte delle forze ultra lealiste della Quarta Divisione. Nell'Est della Siria, a Deir Ezzor, 19 persone sono state uccise da proiettili di cecchini piazzati sui tetti, con la maggior parte delle vittime colpite alla testa o al petto, secondo quanto denunciato dalla Lega siriana dei diritti dell'uomo. L'agenzia Sana riferisce di un colonnello e due militari uccisi da uomini armati in questa città, divenuta anch'essa uno dei principali centri della rivolta. Altri 6 morti si sono registrati a Harak (nel sud), ha detto il presidente dell'Organizzazione nazionale dei diritti dell'uomo, Ammar Qurabi, mentre una persona è rimasta uccisa a Bukamal (nell'est). Intanto forze dell'opposizione hanno denunciato l'arresto di Sheikh Nawaf Al Bashir, leader della tribù di Baqqara, la principale della provincia ribelle di Deir al Zor. Con l'attacco dei carri armati all'alba di ieri, il regime di Damasco è tornato a colpire la città di Hama già doloroso simbolo della rivolta e della repressione nel Paese. Infatti, nel 1982 il presidente Hafez al-Assad, padre di Bashar, inviò le truppe nella città 200 chilometri a nord di Damasco, per soffocare il dissenso allora guidato dalla formazione sunnita dei Fratelli musulmani, la cui roccaforte era diventata appunto Hama. La città vecchia fu rasa al suolo e il bilancio dell'intervento dell'esercito fu di decine di migliaia di morti: 20mila è la cifra rimasta alla storia, ma secondo alcune fonti furono molti di più, fino a 30mila su una popolazione di 350mila. E arriviamo ai giorni nostri: con una popolazione attuale di 800mila abitanti, Hama non si è rivelata da subito uno degli epicentri della protesta senza precedenti che da oltre quattro mesi ormai percorre la Siria. Ma con il passare delle settimane, di venerdì in venerdì, le manifestazioni in città si sono fatte sempre più massicce e partecipate attirando l'attenzione delle forze di sicurezza intervenute a più riprese, fino allo scorso giugno quando, secondo attivisti dell'opposizione, le forze del regime hanno ucciso almeno 60 dimostranti. Nel tentativo di riportare la situazione sotto controllo, il 2 luglio scorso il presidente Bashar al Assad ha sollevato dall'incarico il governatore della provincia di Hama. Il gesto non ha placato la protesta che, al contrario, è scesa in piazza ancor più vigorosa il giorno seguente, così come hanno fatto a decine di migliaia contemporaneamente praticamente in tutto il Paese. Con una simbolica presa di posizione solidale con la protesta, la prima del genere dall'inizio delle manifestazioni nel marzo scorso, l'ambasciatore Usa a Damasco e quello francese si sono recati l'8 luglio scorso ad Hama nel tentativo di fare pressione su Assad affinché limitasse l'uso della forza. Il governo siriano ha risposto, però, convocando i diplomatici due giorni dopo e ammonendo la loro condotta. Il giorno successivo sostenitori di Assad hanno preso d'assalto a Damasco le ambasciate di Usa e Francia.