Bossi sfida Napolitano: "I ministeri restano là"
Il risiko dei ministeri continua. Da un lato Umberto Bossi, che non ha alcuna intenzione di rimuovere le "bandierine" che i soldatini padani sono riusciti a piazzare a Monza lo scorso week end. Dall'altro Giorgio Napolitano che, dopo essersi armato di pennino e calamaio, ha fatto recapitare a Palazzo Chigi una scottante missiva nella quale ha manifestato una volta per tutte al governo i suoi dubbi sul trasferimento di alcuni dicasteri al Nord. Tra i due schieramenti, l'un contro l'altro armati, Silvio Berlusconi, alla disperata ricerca di una mediazione. In mattinata, il Cav avvisa i suoi rivolgendo durante il Consiglio dei ministri «un pressante invito a tenere in debito conto le osservazioni formulate dal Presidente della Repubblica sulle recenti istituzioni di sedi periferiche di strutture ministeriali» e chiedendo a tutti i ministri «di tenere comportamenti conseguenti». Ma niente da fare. Il Senatùr, al primo incontro con il premier dopo il voto su Alfonso Papa, non indietreggia. Anzi. «Napolitano non si preoccupi, i ministeri li abbiamo fatti e li lasciamo là, siamo convinti che il decentramento non sia solo una possibilità ma una opportunità per il Paese», attacca. La sfida a distanza continua. Il presidente della Repubblica decide di rendere pubblica la lettera inviata a Berlusconi. In pochi minuti il testo integrale della missiva è on line sul sito del Quirinale. I toni scelti da Napolitano sono stranamente definitivi: la scelta di aprire meri uffici di rappresentanza al Nord (che peraltro - sottolinea il Capo dello Stato - non ha «connotati di particolare rilievo istituzionale») è incostituzionale. Confliggerebbe - scrive - «con l'articolo 114 della Carta, che dichiara Roma Capitale della Repubblica». C'è poi la questione dell'impiego di risorse pubbliche: dal Colle arriva un'altra tirata d'orecchie. L'apertura di nuove sedi va valutata «in una logica costi-benefici che dovrebbe improntarsi, nell'attuale situazione economico-finanziaria, al più rigido contenimento delle spese e alla massima efficienza funzionale», attacca. È guerra aperta. E chi si aspetta un passo indietro dal leader leghista si sbaglia di grosso. Per Bossi quella dei ministeri in Padania è una battaglia personale. Prioritaria. Ormai conta più per lui che per la gente del Nord. «La Costituzione non parla di dove devono stare i ministeri», controreplica. Il Senatùr non dimentica la sollecitazione fatta da Berlusconi in Consiglio dei Ministri: tener conto dei rilievi del Colle. «Ne teniamo conto - assicura - però vogliamo spostare i ministeri come fanno gli altri paesi europei». A chi gli chiede se si arriverà a una vera e propria rottura lui risponde: «I rapporti con Napolitano non si romperanno per questo. Si romperebbero - aggiunge scherzando - se gli chiedessimo di ridare indietro i mobili che si è preso dalla villa Reale di Monza». Come un vecchio generale soddisfatto della battaglia condotta, il leader del Carroccio si congeda a suo modo: «Adesso vado a casa, vado nella capitale, a Milano», dice divertito ai cronisti. Napolitano - c'è da giurarci - non si divertirà. Non ci sono solo i ministeri. Il Paese ha altro a cui pensare e il Capo dello Stato è preoccupato: di fronte «alla gravità dei problemi e delle sfide che ci incalzano» serve uno «scatto», una «svolta» da parte di «tutti». E invece - sottolinea il Capo dello Stato - la politica italiana «appare debole e irrimediabilmente divisa, incapace di produrre» quelle «scelte coraggiose, coerenti e condivise» che «ogni giorno di più si impongono». Mentre la Giustizia ha raggiunto «un punto critico insostenibile, deviata da conflitti fatali tra politica e magistratura». La situazione è difficile. Il presidente ha anche deciso di postecipare le sue vacanze. Non intende abbandonare il campo di battaglia. Stromboli dovrà aspettare. La guerra di Giorgio continua.