Vi racconto cosa è successo nella «notte dei cretini»
Cercodi stemperare il clima con un po' di ironia: “Bene, abbiamo la quota di dissenso”. E provo a introdurre l'intervista-dibattito nel miglior modo possibile, cioè dando la possibilità a Brunetta di raccontare chi è e da dove viene, le sue umili origini, la Venezia delle bancarelle, una storia lontana anni luce dai ministeri, dalle auto blu, dalla casta. Niente. Sforzo vano. Ancora fischi. A prescindere. Il novantanovevirgolanovepercento del pubblico attende pazientemente che si possa discutere di politica, ma una minoranza - cinque sei persone, forse meno - fa rumore impedendo agli altri di parlare e alle altre centinaia di persone di ascoltare. Brunetta purtroppo passa direttamente al brunettese: «Cretino!». Non ci posso credere. A me scappa da ridere e chioso: «Incredibile». Spiego dal palco che fischiare non serve a nulla, tanto si va avanti. Invito Brunetta a ignorarli «'che è la cosa migliore». Nada de nada. La scenetta surreale del fischia, insulta e ribatti va avanti per un po', un ping pong di una decina di minuti in tutto, poi finalmente si riesce a partire con ritmo e continuità. E si va lisci fino in fondo. Tra il sottoscritto e Brunetta si svolge un dibattito duro, aspro, ce le diamo di santa ragione sulla manovra economica, la spremuta di tasse, i giornali, la casta, i tagli che non ci sono ai costi della politica. Scintille. Tutto questo dialogato e serrato confronto nei tre minuti e trentasette secondi di filmato che va online non c'è. Va in rete un assemblato di realtà, un frammento che nel montaggio e nella sceneggiatura che ne scaturisce diventa verità assoluta nella sua ingannevole parzialità virale. E l'incontenibile Brunetta sarà quello che dà del «cretino!» a una massa urlante che massa non era. Non si vedrà mai in video il passaggio in cui dice chiaramente che il dissenso è legittimo, che la politica deve esser capace di ascoltare e nello stesso tempo di assumersi le sue responsabilità. Si vedrà solo il ministro replicare a muso duro: «Voi non lavorate, siete dei cretini». Olè. Corrida totale. Brunetta conosce il meccanismo dell'informazione in tempo reale, sa bene che la rete mette in moto e moltiplica lo stesso messaggio, fino a banalizzarlo e farne un motivetto rap. Puoi fare un discorso da premio nobel dell'Economia, ma se ti scappa un «cretino!», il tuo messaggio finale diventa quello. Giusto o sbagliato che sia, così funziona il congegno del world wide web che, a sua volta, poi finisce sui giornali e sulle televisioni, amplificando l'errore e l'orrore, oscurando e donando luce a verità che sono parzialità. É questa la libertà? Dobbiamo chiedercelo, perché temo che di questo passo la parola diventerà un contenitore vuoto che ognuno riempierà con quel che gli pare. Riavvolgiamo il nastro dall'inizio della serata. Centinaia di persone si ritrovano in una piazza per assistere a un dibattito polico. La loro libertà è quella di muoversi, riunirsi e poter ascoltare. Poi possono condividere e dissentire. Possono fischiare, stare in silenzio o applaudire. Nello stesso posto, nello stesso istante, un manipolo di persone decide che il dibattito va coperto con i fischi. Benissimo. Dove comincia e dove finisce la libertà di chi fischia? Il succo della faccenda sta tutto qui. Fino a quando il legittimo dissenso di una minoranza - tal era - riunita in una piazza può prevaricare la libertà di espressione di un altro gruppo? Quando comincia e quando finisce la libertà di chi vuole coprire la tua parola con il suo rumore? Legittima protesta? O sopraffazione? Io penso che la libertà del mio prossimo finisca esattamente quando danneggia quella di un altro. Allora la libertà diventa un arbitrio. E bisogna trovare forme, modi e un minimo di condivisione di regole civili. Quella cosa che si chiama rispetto. Reciproco, of course. L'errore di Brunetta è quello di non accettare il dato di fatto che con i fischi non c'è alcuna speranza di dialogo. Lui, trascinato dal carattere, reagisce abbassando il suo linguaggio a quello dell'interlocutore. Passa all'insulto. Errore. É un ministro della Repubblica, deve sopportare, anche stoicamente, e tenere alto il livello del dibattito. Deve ignorare. Deve incassare. E ripartire. Regola numero uno del giocatore di biliardo: calma e gesso. Chi spezza in due la stecca, alla fine perde la partita. È anche la regola di ogni buon dibattito pubblico, radiofonico o televisivo. Essere di ghiaccio. Caldi fuori. Freddi dentro. Ragionare contro chi urla. Smontare con la logica chi ti assale a colpi di decibel. È vero che non tutti hanno voglia di porgere l'altra guancia, ma il «cretino!» brunettiano sparato dal microfono verso la piazza non si limita a rimbalzare tra le case di Viterbo. Ripreso in video, finisce regolarmente in rete. Dalla rete si proietta su tutti i computer fissi e portatili, telefonini e tablet. Alla fine il «cretino!» diventa un tormentone di massa che viene impaginato dai giornali e telegiornali e il circuito si chiude al punto che diventa un esercizio sterile spiegare che cosa è accaduto e le tue ragioni. Punto. Senza questo self control la via della barbarie è spianata. Cieco rumore. Questo fenomeno ha molto a che fare con la diffusione di internet. La banalizzazione del messaggio sulla rete è micidiale. Consiglio al ministro Brunetta e a chi ha voglia di capire cosa è successo con lo sviluppo della Rete in questi anni, la lettura di uno splendido saggio di Andrew Keen intitolato «The Cult of Amateur». L'autore è uno dei protagonisti della scena della Silicon Valley e con un'intelligenza beffarda mette a nudo come la diffusione del free content, del contenuto libero, del cazzeggio senza controllo di fonte e autore, sulla rete abbia distrutto il valore del sapere, dell'autorevolezza e della responsabilità. Il direttore de Il Tempo se diffama viene chiamato a risponderne in tribunale. Nei social network gli utenti pensano invece di vivere in una sorta di mondo dell'impunità. In tanti scrivono cose terribili, false e pensano che tutto questo sia reale, intelligente e soprattutto legale. Non solo. Quella è la verità. Questo è il destino che attende inesorabilmente anche il dibattito di Viterbo. Liofilizzato in tre minuti e trentasette secondi di cui si ricorderà solo quel che Fruttero e Lucentini avevano messo impietosamente a fuoco nel magma nella nostra società contemporanea: la prevalenza del cretino.