Pace fatta dopo 40 anni

"Un gemellaggio tra L'Aquila e Pescara? E' un sogno". Bruno Vespa quarant'anni fa era nella sua città, messa a ferro e fuoco dalla popolazione dopo lo "scippo" degli assessorati regionali. E legge con occhi consapevoli l'impegno sottoscritto da due sindaci abruzzesi. «Abbiamo vinto noi. Sì, perché questo gemellaggio è come la pace fatta tra israeliani e palestinesi. Loro non ci sono arrivati, noi sì. Li abbiamo battuti, mi sembra una cosa molto bella». Bruno Vespa riavvolge velocemente un nastro lungo quarant'anni, e metaforicamente si trova seduto dietro un'altra scrivania, quella de «Il Tempo», redazione aquilana. Nel febbraio del 1971 lui era lì, in quelle strade che si infuocarono in un attimo: «È bello che questa idea di gemellaggio nasca nel quarantennale di quella che io chiamo la Grande Incomprensione, il quarantennale di un evento frettolosamente e ingiustamente archiviato come rivolta fascista. È vero che furono commessi degli errori, come quello di assaltare la sede del Pci. Poi arrivò la repressione violenta, terribile, provocata dalla paura che si ripetesse quanto successo a Reggio Calabria». Arrivarono i celerini da Roma e anche quello fu un errore. Si sancì allora una separazione del territorio poi rivelatasi devastante. «Con la maledizione del campanilismo – ricorda Bruno Vespa – tutti volevano tutto e così nacquerò le quattro università, si moltiplicarono gli enti. Persino l'autostrada fu frutto di un compromesso, perché senza guardare alle necessità effettive si arrivò a un tracciato che doveva toccare tutte le province». Era davvero un altro secolo, eppure certe scorie sono dure a morire l'Abruzzo per tante cose è ancora «Abruzzi» ingolfato da duplicazioni, personalismi, privilegi. «Oggi l'informazione viaggia con un'altra velocità. Quando io ero al Tempo all'Aquila non si leggeva la cronaca di Pescara e viceversa. Anche questa era una separazione – dice ancora Vespa –. Ricordo ancora la notte in cui nacque Il Tempo d'Abruzzo, un giornale che si vedeva in tutta la regione. Ricordo la mia telefonata a Gianni Letta che allora era capo delle province: per noi era un miracolo». Culturale, soprattutto. Oggi le necessità sono altre qualcuno, come l'ex sindaco di Pescara Luciano D'Alfonso, dice che bisognerebbe creare un dualismo virtuoso paragonando L'Aquila a Roma e Pescara a Milano. «Ha ragione», sostiene Vespa con forza. Anche perché questo gemellaggio, che ora è forma va riempito di contenuti. «E i contenuti – afferma il giornalista – possono essere solamente quelli di un aiuto per L'Aquila. Sono successe tante cose, ma ora è arrivato il momento di dire «scurdammoce 'o passato» e di riconoscere le diversità di ruoli. Dopodiché dobbiamo dire che l'Abruzzo deve ricostruire la sua Roma, perché quella Roma ora non c'è più». Dopo il terremoto del 6 aprile 2009, attraverso Porta a Porta, ma anche con suo grande impegno personale, Vespa ha attivato un sistema di aiuto per la sua città, economico e informativo. Che cosa rispondere a chi (il clima di sospetto, dopo quarant'anni è sempre vivo) considera questa idea di accordo come la via che servirà a portare di fatto il capoluogo a Pescara? «Che sarebbe orribile. La cosa più orribile sarebbe scippare a L'Aquila quello che oggi, dopo una tragedia di incredibile portata, ancora le resta. Sarebbe come rubare a un cieco, a una persona inerme seduta a un angolo di strada che chiede aiuto».