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Il Pd impantanato nel caso Tedesco

Il senatore Alberto Tedesco

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Di certo non si tratta di un test infallibile. Ma su Facebook, agorà della democrazia telematica, sono già sei le pagine che inneggiano alle dimissioni del senatore ex Pd Alberto Tedesco. Si va da «Alberto Tedesco dimettiti» a «Vogliamo le dimissioni del senatore Pd Alberto Tedesco». Anche il gruppo «La soluzione del Pd? buttare a mare i dalemiani», nonostante Massimo D'Alema si ostini a spiegare che lui non ha nulla a che fare con l'ex assessore alla Sanità della Regione Puglia, è solo una delle variazioni sul tema. Se a questi si aggiungono i commenti sul sito del Pd e del segretario Pier Luigi Bersani, è facile capire quanto la vicenda sia diventata centrale tra elettori e simpatizzanti del partito. Dopotutto è difficile accettare che un esponente arrivato in Senato grazie ai Democratici (attualmente è iscritto al gruppo misto), dopo aver chiesto all'Aula di Palazzo Madama di autorizzare il proprio arresto ed essere stato invece «salvato», continui a tenersi stretta la poltrona. Non si fa. Un comportamento del genere ce lo si può aspettare da un berlusconiano qualunque, non da chi sbandiera orgoglioso la propria diversità morale. Così la vicenda Tedesco continua ad essere una spina nel fianco del Pd. Ieri anche Enrico Letta, intervistato dall'Unità, ha chiesto le dimissioni del senatore spiegando però che «è del gruppo misto e quindi aldilà di una moral-suasion noi non possiamo andare». Insomma il problema è irrisolvibile: il Pd incassa la rabbia dei propri sostenitori ma non può far nulla per obbligare Tedesco a lasciare Palazzo Madama (anche fosse stato iscritto al proprio gruppo, probabilmente, sarebbe cambiato poco). E la polemica si allarga. Rosy Bindi, che era stata duramente attaccata dall'ex assessore pugliese, replica spiegando «la sua arroganza non merita risposte. Dimostra di non rendersi conto della gravità del momento. L'ultima cosa che possono fare i politici è continuare a usare la legge per le loro impunità».  Antonio Di Pietro ribadisce quanto spiegato alcuni giorni fa al Tempo: «Mi sento umiliato come parlamentare. Avrebbe dovuto dimettersi. Il fatto che si possa decidere di salvare una persona attraverso uno scambio di favori e di mercimonio politico, questo umilia le istituzioni e offende il Paese». Il diretto interessato, però, non arretra di un centimetro. Intervistato dal blog pontifex.roma.it, dopo aver confermato che non si dimetterà, parla della propria fede: «Non amo sbandierarlo, la fede è una cosa privata che va esercitata pubblicamente. Sento vicino Padre Pio, mi ha aiutato, mi ha salvato». E sulla Bindi rincara la dose: «Non so cosa voglia da me, sono anni che vive di politica. Certi livori non sono degni di cattolico, sarebbe...da scomunica». La telenovela continua e nel Pd riparte il coro di chi vede negli ultimi avvenimenti il riesplodere di una questione morale. Per il senatore Silvio Sircana il partito avrebbe bisogno di un «check-up». A preoccupare è sicuramente il caso-Tedesco, ma anche le vicende che coinvolgono Filippo Penati. L'ex vicepresidente del consiglio regionale lombardo ieri ha chiesto a «tutti di aver fiducia e rispetto nel lavoro della magistratura. Ribadisco la mia totale estraneità ai fatti che mi si addebitano». A Roma sperano che sia effettivamente così.

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