E'il 25 luglio dell'opposizione
Che brutto 25 luglio, quello di ieri, ma per la sinistra, investita clamorosamente dalla questione morale mentre accarezzava il sogno di festeggiare la caduta di Silvio Berlusconi nell’ennesimo anniversario - il sessantottesimo - delle dimissioni di un altro famoso Cavaliere nella storia d’Italia: Benito Mussolini. Di dimissioni, miste ad autosospensioni da altre cariche, sono arrivate questa volta solo quelle di Filippo Penati, già braccio destro del segretario del Pd Pier Luigi Bersani, da vice presidente del Consiglio regionale della Lombardia. Che non è, per carità, un grandissimo mandato, neppure paragonabile a quello di un capo di governo, ma è pur sempre il maggiore di cui disponesse sino a ieri nella regione lombarda la principale forza di opposizione a livello nazionale. Il cui leader si ritrova scomodamente a fare i conti con la vecchia e immeritata leggenda della "diversità" del suo partito d’origine, il Pci, vantata e lanciata come una clava contro tutto e tutti una trentina d’anni fa da Enrico Berlinguer. Penati, come il senatore di sinistra Alberto Tedesco, appena scampato agli arresti domiciliari grazie al garantismo della maggioranza di centrodestra, ha naturalmente tutto il diritto di essere considerato innocente dalle accuse di corruzione, concussione e finanziamento illegale del partito mossegli dalla Procura di Monza. Quello che la sua parte politica non ha, invece, è il diritto, pur largamente esercitato, di considerare e trattare come appestati gli avversari sottoposti ad indagini o a processi, prima ancora di vederli condannati in via definitiva. Qui, di "diverso" la sinistra, vecchia e nuova, ha solo il modo di leggere e interpretare la Costituzione, anche nella parte che disciplina la vita e la morte del governo, che dipendono rispettivamente dalla fiducia e dalla sfiducia votate dal Parlamento: l’unico che possa legittimamente interrompere il mandato che il presidente del Consiglio, dopo la sostanziale demolizione referendaria del sistema proporzionale nel 1993, riceve direttamente dagli elettori, prima ancora di essere formalmente nominato dal capo dello Stato. A dispetto della maggioranza di cui Berlusconi dispone al Senato e a Montecitorio, anche dopo il cambio di campo politico di Gianfranco Fini e dei suoi amici, o ex camerati, le opposizioni inseguono la crisi sognando un emulo di Dino Grandi, il protagonista del 25 luglio 1943. Esse hanno pensato per un po’ di poterlo trovare in Giulio Tremonti, dopo avere puntato sul presidente della Camera. Che a sua volta ha scommesso nell’ultimo fine settimana sul ministro leghista Roberto Maroni, dopo aver detto peraltro peste e corna del suo partito. L’esito della trovata è stato, per Fini, semplicemente penoso.