Cosa si giocano Destri e Sinistri
I due principali partiti della scena politica italiana si specchiano e scoprono di essere sempre più simili. Il Popolo della Libertà e il Partito Democratico hanno problemi speculari e la caduta di uno mette in crisi anche l’altro. Sulle manette e le inchieste Pdl e Pd sembrano destinati ad esser prigionieri dei propri totem e paradigmi. Il Pdl si sente accerchiato e vede ancora un partito dei pm, anche se in realtà c’è l’anarchia totale delle procure. Il Pd invece è cristallizzato nel dogma che recita «la magistratura ha sempre ragione». Il risultato è che nella maggioranza di centrodestra è tornato il partito del cappio, mentre nel centrosinistra i democratici si ritrovano nel bel mezzo di una burrasca giudiziaria multipla. Effetto finale: partiti in ostaggio delle toghe e dei giustizialisti mediatici, spoil system in procura, sbocchi di governo e istituzionali letteralmente appesi ad avvisi di garanzia e manette. La giustizia non è il primo punto dell’agenda del Paese - quella è l’economia - ma il centro di tutto il risiko del Palazzo. Sinistri e manettari La questione morale nel Pd è un fiume carsico. Riemerge spesso d’estate. Ricordo bene quando nella stagione del varo del Pd, ci fu lo scontro tra i cofondatori del partito, Ds e Margherita, a proposito dello scandalo Unipol. Ora ci risiamo. I cattolici democratici e i veltroniani mordono i polpacci di Pier Luigi Bersani, in difficoltà su due casi clamorosi: l’inchiesta sulle tangenti versate a Filippo Penati, ala nordista del bersanismo; il salvataggio di Alberto Tedesco al Senato con i voti del Pdl e la richiesta di dimissioni da parte di Rosy Bindi, Enrico Letta e altri autorevoli esponenti democratici. A questi si aggiunge l’inchiesta che coinvolge Pronzato, altra conoscenza di Bersani. Le accuse per tutti sono pesanti. Al punto che un editorialista equilibrato come Antonio Polito sul Corriere della Sera chiosava ieri in prima pagina: «Penati più Pronzato più Tedesco fanno una questione morale anche nel Pd». Il risultato sul piano interno è drammatico. Enrico Letta chiede le dimissioni di Tedesco, Rosy Bindi ne invoca la cacciata, la Serracchiani idem, Veltroni scalda i motori mentre Tedesco ribatte che lui non si schioda e la Bindi è «da scomunicare». Un delirio che investe la figura e l’autorevolezza di Bersani e del suo entourage. Se fosse applicato al segretario del Pd il trattamento riservato in questi anni a Berlusconi, Bersani sarebbe sommerso da richieste di dimissioni a mezzo stampa. Così non è ma la doppiezza di trattamento non mi stupisce. È un vizio italiano e non risparmia i giornali. Ciò che invece è strabiliante è la capacità del gruppo di comando dei democrats di far spallucce, glissare, far finta che Penati sia un estraneo amministratore del Nord, Tedesco un "ex socialista" della Puglia e Pronzato uno che a Genova non se lo filava nessuno. Sembra il gioco delle tre scimmie: non vedo, non sento, non parlo. Ma se le intercettazioni e i verbali sono veri, allora il Pd sta nei guai, esattamente come il Pdl e in modo perfino peggiore. Perché se un partito decide di appoggiarsi al giustizialismo, non può poi accantonarlo quando viene sfiorato dalle manette. Se un partito pensa che l’avversario politico debba esser messo in cella e pazienza per l’istituzione e la politica, poi non può salvare il proprio senatore con i voti del nemico e impartire lezioni di bon ton. Se Tedesco prega l’aula con un "fatemi arrestare" che evoca i metodi retorici (e pratici) dei comunisti sotto Stalin, poi non può accettare di essere salvato e non consegnarsi al destino che poco prima desiderava con tutto il suo cuore. Se Penati partecipava a un meccanismo di richiesta e incasso di milioni di euro di tangenti per il partito - questa è l’accusa - allora non si può liquidare la faccenda come il caso isolato di un militante qualsiasi, perché viene tirato in ballo il Pd e nella maniera peggiore possibile. "Nel 2010 triangolazione per far arrivare 2 milioni al Pd di Penati". Il 2010 è qualche giorno fa. È in ballo il Pd di Bersani, quello con le maniche sollevate e il "dai ragazzi, diamoci da fare". A questo punto, il cittadino e il militante di sinistra si chiedono: fare cosa Bersani? Chi comanda nel Pd e chi sarà il candidato premier della sinistra nel 2013? Destri ammanettati Nel Pdl la situazione è speculare, con l’aggravante che il partito è al governo e dunque non può permettersi di perdere tempo, sbagliare, far spallucce, sviare i propri elettori. Sulla questione morale, che esiste ed è grave e seria, la linea è a dir poco ondivaga. La diga del garantismo ha ceduto qualche giorno fa alla Camera e un deputato della Repubblica oggi è in cella. Vorrei che fosse chiaro: chi sbaglia paga. E se è necessario paga carissimo. Qui però parliamo non di una pena da espiare, ma di carcerazione preventiva. Detto questo, una volta che Papa è in cella, per li rami ne consegue che il prossimo a finire dentro sarà Marco Milanese (o intendono salvarlo?) e poi chissà chi altro. Le carte sono profondamente diverse. Eccome. Papa non è un santo. Ma Milanese non è neppure beato. Così, praticato un buco nella diga, a valle può tracimare tutto. Tutti dentro. È un inutile esercizio di scuola ormai indagare le ragioni di questa confusione, di questo rovescio politico e, per quei pochi che nel Palazzo lo capiscono, di profondo smarrimento culturale della destra conservatrice. La testimonianza finale l’ha data lo stesso Silvio Berlusconi l’altro ieri quando ha ammesso: "Con la Lega abbiamo problemi, non è stato rispettato il patto per Papa alla Camera". Ops! Silvio, abbiamo un problema. Andrebbe risolto. Ma non rifacendo l’asse con Bossi e cercando altri quattro bulloni per rinsaldare il tutto. Il senatur non può garantire l’ordine del gruppo alla Camera. Cioè dove la debolezza dei numeri può far cadere il governo. A Montecitorio l’azionista di riferimento è Roberto Maroni. Con lui va trovata la "nuova quadra". Quel che si vede, chiarissimo, a questo punto, è un cammino stretto e pieno di buche in cui Angelino Alfano rischia di cadere se non si mette in fretta a fare il suo mestiere, cioè il segretario politico del Pdl. Ieri due interviste sul Corriere della Sera hanno mostrato le contorte linee di questa mulattiera da bombardamento postbellico. Il ministro dei beni culturali Giancarlo Galan che scagliava frecce su Giulio Tremonti per la manovra e i suoi metodi spicci. Una confessione-avvertimento, quasi un abbandono, di Letizia Moratti. Citazioni. "Vedere Tremonti che partecipa all’inaugurazione dei ministeri della Lega mi ha fatto venire un profondo senso di nausea" (Galan). "Avverto un disagio profondo. Trovo sempre più difficile riconoscermi in un partito che non ha saputo fare le scelte di libertà e di equità che il Paese chiedeva" (Moratti). Né il ministro né l’ex sindaco di Milano indicano una ricetta, non ce l’hanno e non penso abbiano le qualità per offrirne una davvero praticabile nel mondo reale, ma sono due personaggi che nel consueto disordine del Pdl dicono che il tempo dell’attesa per Alfano non c’è più. I fatti sono più veloci delle teorie politiche e dei disegni fatti a tavolino. Chi comanda nel Pdl e chi sarà il candidato a Palazzo Chigi nel 2013? *** Così i destri e i sinistri del Paese, partendo da origini e storie completamente diverse, si ritrovano a percorrere la stessa strada piena di trappole e dubbi. In questo scenario, pensare a ipotesi di governi transeunti, papocchi o cambi in corsa di leadership senza aver prima almeno messo ordine nei partiti è semplicemente impossibile. Un governo tecnico senza i partiti che lo sostengono sul serio sarebbe uno zombie. Un governo di larghe intese è una chimera. Fini con la sua consueta improntitudine politica ha provato a proporre Maroni prossimo premier. L’hanno fulminato da destra e da sinistra. E Bobo che dice? Per lui fino al 2013 non c’è storia. La realtà è che continuano a restare sul tappeto due ipotesi: il rafforzamento di questa maggioranza o le elezioni. E una domanda alla quale nessuno sa rispondere: chi comanda davvero nel Paese?