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Se nel Palazzo comanda la paura

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Verrebbevoglia di parlare della "grande paura" dell'estate 2011, parafrasando il titolo di un celebre saggio dello storico Georges Lefebvre, intitolato "La grande paura del 1789" e dedicato alla rivoluzione francese. La situazione storica è diversa - va da sé - ma la paura, la "grande paura" è l'indiscussa protagonista della scena di questo tormentato e malinconico crepuscolo di una stagione politica. La paura è sempre stata una cattiva consigliera e non a caso il luciferino Cardinale de Retz, il grande nemico di Mazzarino all'epoca dei torbidi della Reggenza, sosteneva che «alla paura è molto più naturale tener consiglio che decidere». Quello che è accaduto in questi giorni, dietro le quinte e nelle stesse aule parlamentari, è la dimostrazione che la paure regna sovrana nei palazzi del potere. Paura del giustizialismo e delle manette in agguato, paura del giudizio dell'opinione pubblica, paura di affrontare le ire di una popolazione esasperata e indignata, paura di perdere i privilegi di casta, paura di essere travolti dalle disgrazie, attuali o future e futuribili, degli alleati. Paura, insomma, a tutti i livelli. Questa cattiva consigliera ha dettato il passo delle scelte politiche e parlamentari degli ultimi giorni. Ha spinto la casta a promettere - ripeto, a promettere soltanto - una marcia indietro rispetto agli indecorosi blitz per sottrarre se stessa ai sacrifici richiesti ai cittadini comuni. È sempre la paura che - in previsione della votazione per l'autorizzazione all'arresto di un deputato del Pdl, Alfonso Papa, e ai domiciliari di un senatore del Pd, Alberto Tedesco - ha innescato un giuoco rutilante e mortificante di (smentite) trattative segrete tra maggioranza e opposizione per giungere a una decisione comune sull'autorizzazione a procedere contro i due parlamentari, che servisse a tacitare i giustizialisti di entrambi gli schieramenti e offrisse ancora materia e spunto per le consuete diatribe e i soliti giochi di ricatti e ricattini. Il sigillo dell'accordo, il "clou" di questa (poco) sacra rappresentazione era costituto dalla contemporanea votazione nelle aule della Camera e del Senato. Si sa come è andata a finire: mentre Tedesco si è salvato, Papa è stato associato alle patrie galere. Il Parlamento si è consegnato ai giudici e la politica ha abdicato di fronte alla magistratura. È un fatto grave, indipendentemente dalla colpevolezza o innocenza dei due parlamentari, perché certifica un salto di qualità nello scontro a fuoco tra politica e magistratura e segna un punto importante a favore di quest'ultima. È un passo decisivo nella rottura degli equilibri istituzionali. È sintomatico che, al momento della lettura dei risultati della votazione sul caso Papa, sia stato registrato un silenzio assoluto - nessun cenno di approvazione o protesta - quale non era mai stato, verosimilmente, visto nelle aule parlamentari nell'intera storia della repubblica. La paura si era trasformata in sorpresa e sbigottimento: sorpresa per l'esito inatteso, sbigottimento per le conseguenze politiche, ma anche istituzionali, che il voto, insieme a quello del Senato, finirà per avere nell'immediato futuro. La credibilità della casta dei politici ha fatto un altro passo verso il baratro. Da una parte, la lotta di potere all'interno della Lega e, dall'altra, il fariseismo tatticista del Pd hanno fornito nuovo terreno di coltura ai germi patogeni che, ogni giorno di più, allargano il solco che separa i cittadini dalla politica e, ahinoi, anche dalle istituzioni. A questo punto, e in questa situazione, poco contano gli scenari immaginabili per il breve o medio periodo: fine del rapporto privilegiato Bossi-Berlusconi, cambiamento di leadership all'interno della Lega, indebolimento di Bersani, sfarinamento dei partiti attuali, galleggiamento della maggioranza, crisi di governo e via dicendo. Quel che davvero conta è il fatto che la classe politica italiana, la casta dei politici, è sempre più isolata, chiusa in se stessa, prigioniera di tatticismi incomprensibili ai più e vittima delle proprie paure. Anzi, della paura. Sarebbe da riscrivere, oggi, il sulfureo pamphlet che Ferdinando Petruccelli della Gattina dedicò ai suoi colleghi parlamentari nell'Italia da poco unita. Però con un titolo diverso: non già "I moribondi di Palazzo Carignano", ma "I morituri di Montecitorio e di Palazzo Madama".

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