Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

"Il senatore ha fatto il doppio gioco. Non può restare, lasci l'incarico"

di pietro

  • a
  • a
  • a

Antonio Di Pietro parla lentamente. Scandisce le parole. Le dosa. Ogni frase che esce dalla sua bocca sembra studiata. Il che non significa rinunciare a giudizi netti. Così, quando gli si chiede cosa pensi del fatto che il senatore Alberto Tedesco, dopo essere stato «salvato» dall'arresto, abbia annunciato che non si dimetterà, l'ex pm risponde secco: «Mi sembra un'ipocrisia. Deve dimettersi. Io, quando ero ministro, l'ho fatto subito. E avevo ricevuto un avviso di garanzia». Tedesco dice di avere il «dovere di restare». «Io credo che dobbiamo partire da un dato di fatto. Quando un parlamentare viene sottoposto ad un'azione giudiziaria che prevede una misura restrittiva esistono due piani. Il primo è quello della responsabilità penale». Il secondo? «Il dovere politico. Cioè il dovere di dimostrare che la politica non è il luogo dell'impunità. Invece...» Invece? «Più passa il tempo è più il Parlamento è diventato il "rifugio" di chi sfugge alla giustizia». Mercoledì, però, la Camera ha dato via libera all'arresto di Alfonso Papa? «E io credo che sia stata, dopo tanti anni, una prova di grande responsabilità. Non è il Parlamento che deve decidere sulla colpevolezza o l'innocenza. Il nostro compito è verificare se c'è stato un intento persecutorio. Ebbene ho letto l'ordinanza e devo dire che nel caso di Papa questo intento non c'era. Ma ancor meno c'era nel caso-Tedesco». Ma il Senato ha deciso di salvarlo. «E lui ha detto che resterà al suo posto. Mi sembra un comportamento un po' truffaldino. Per quanto mi riguarda Tedesco non doveva neanche portare l'Aula ad esprimere un voto. La richiesta di votare a favore dell'arresto dimostra già che non vi è stato un fumus persecutionis. Per questo avrebbe dovuto dimettersi e affidarsi alla magistratura. Invece prima ha captato la benevolenza dei colleghi trasformandoli in complici, poi se ne è approfittato. Questo "doppio gioco" è offensivo nei confronti del Parlamento e dei cittadini». Crede che anche il Pd abbia un po' "giocato"? «Mi sembra che le decisioni prese abbiano dimostrato una certa trasversalità. Alla Camera una parte della maggioranza ha votato con l'opposizione. Al Senato una parte dell'opposizione ha votato con la maggioranza. Colpisce, però, che quell'area del Pd che si definisce moderata e garantista lo sia stata per Tedesco, ma non per Papa. Io rispetto il garantismo, ma deve valere per tutti. Diciamo che lo è stata dove le è convenuto». E i cittadini? Come pensa leggano questo "doppio gioco"? «Come un regolamento di conti. Purtroppo si è trasformata una vicenda prettamente giudiziaria, in una decisione di tipo politico. Si è generalizzato. Un po' come fa il Capo dello Stato». Si riferisce alle parole di Napolitano sulla «guerra» tra magistratura e politica? «Credo che non esistano guerre tra bande. Ci sono politici che fanno il loro dovere e altri che non lo fanno. Così come ci sono magistrati che lavorano bene e altri no. Generalizzare mi fa pensare al grido di craxiana memoria "tutti colpevoli, nessun colpevole". C'è il rischio di assolvere comportamenti penalmente perseguibili. Ho trovato le parole di Napolitano, nonostante il rispetto che ho per il suo ruolo, fuori luogo e fuori tempo». Ma lei non pensa che qualcuno, all'opposizione, abbia usato Papa per colpire Berlusconi? «Non parlerei dell'opposizione. Piuttosto direi che la Lega, con un atto che io chiamo di "resipiscenza operosa", si sia resa conto dello scollamento terribile che esiste tra ciò che proclamano il sabato e la domenica a Pontida, e ciò che fanno a Roma». Crede che questo voto cambierà qualcosa? «Non è tanto questo voto. Siamo alla vigilia di una rivolta sociale che potrebbe sfociare in un atto di violenza. Siamo alla vigilia delle monetine. Mi sembra di rivivere i tempi del crollo della Prima Repubblica». Cosa può fare la politica per evitarlo? «Tutti dobbiamo impegnarci per ridare credibilità alla politica. Bastano due piccole regole: tutti i condannati non possono essere candidati, chi è sottoposto a processi, anche se innocente fino a prova contraria, non può ricoprire incarichi né locali, né nazionali. Lei lo sa che il 12% di chi siede in Parlamento ha problemi con la giustizia? Nemmeno nelle peggiori periferie della nostre città si registra una percentuale simile».

Dai blog