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Nella Lega vince la linea forcaiola di Maroni «Il nostro sì all'arresto è stato coerente»

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LaLega ha votato, «come avevamo detto», e ora per il deputato del Pdl ed ex magistrato Alfonso Papa si possono aprire le porte del carcere. Poche parole, lapidarie, che arrivano a conclusione di una giornata che segna definitivamente il tramonto dell'egemonia bossiana sul Carroccio. Ora si apre una nuova epoca. L'era maroniana. Un'epoca che inizia nel segno della rottura. Una divisione da Berlusconi e da un Pdl che, ormai da tempo e soprattutto al Nord, è considerato sempre più un avversario più che un fedele alleato. E se di distacco bisogna parlare è lo stesso Maroni a mettere ben in chiaro, fin dall'inizio, la sua strategia. Sono le quattro del pomeriggio. Alla Camera prende ufficialmente avvio, per la maggioranza, una delle sedute più delicate degli ultimi tempi: il dibattito riguarda la richiesta di arresto per Papa. Umberto Bossi non c'è. Ufficialmente è in missione. Dopo più di un'ora e mezza di discussione entra in Aula Maroni. Lo sguardo si rivolge ai banchi del governo ma per lui c'è un'altra strada. Non intende sedersi con i colleghi ministri e, così, si dirige verso uno scranno vuoto vicino ai colleghi del Nord (forse quello di Giacomo Chiappori o Raffaele Volpi, unici due deputati leghisti assenti). Da quel posto osserva. Alle 18 arriva Berlusconi. Entrambi ascoltano l'appello di Papa all'Assemblea. Il Cav applaude, Maroni no. Dopo venti minuti l'epilogo. La Camera dei deputati approva la richiesta di arresto avanzata dalla Procura di Napoli con 319 «sì» e 293 «no». Da quel momento in poi la conta dei numeri diventa fondamentale. I leghisti con meno esperienza parlamentare si domandano che cosa accadrà ora e ragionano: «Mettendo insieme i 203 voti del Pd, i 22 dell'Idv, i 22 di Fli e i 33 dell'Udc, si raggiunge quota 280. Aggiungendo 3 di Api e altrettanti del gruppo misto siamo a 286. Quindi sui 33 che mancano all'appello, sicuramente buona parte sono della Lega». Qualcuno ipotizza 24 o 25 deputati. E intanto in Transatlantico scende il gelo. Nessuno lo dice espressamente, ma tutti nel Pdl se la prendono con la Lega e puntano il dito su un'alleanza che sembra traballare. Un'alleanza a rischio proprio perché all'interno del Carroccio a determinare la strategia non è più quell'Umberto che ha sempre cercato di sostenere la maggioranza assicurando al premier i voti della Lega ogni qual volta ne fosse necessario, ora è il turno di Maroni. È lui che comanda. Anzi, sembra proprio che molti deputati leghisti, al momento del voto, volessero certificare la loro vicinanza al ministro dell'Interno, immortalando con una foto, fatta con il cellulare, il proprio voto in favore dell'arresto. E così l'uomo che a Pontida era stato osannato dalla base come «premier subito» ora inizia a scalpitare. Di certo non farà nulla per mettere in minoranza il Senatùr ma è pur certo che, ogni qual volta gli si presenterà l'occasione di far valere le proprie posizioni non lo eviterà. Ora è ancora il momento di attendere perché, come viene comunque fatto trapelare, la Lega non ha votato a cuor leggero per l'arresto di Papa. Nel merito, più di qualcuno anche dopo il voto, avrebbe ribadito di avere avuto dubbi fugati all'ultimo istante alla luce della tensione che saliva dalla base: se si fosse fatto diversamente - è il ragionamento dei lùmbard - nessuno si sarebbe più potuto presentare in piazza. Certo, c'è pure chi scherza nei confronti delle rimostranze del Pdl, buttando lì che «così gli abbiamo dato una mano, inaugurando il partito degli onesti». Di certo in casa Pdl le battute non sono gradite. Fino all'ultimo nessuno si aspettava il tracollo e ora tutti puntano il dito contro l'alleato "infedele". Il premier, intanto, è furente e ha già fatto sapere che sarà il primo argomento di cui parlerà con Bossi domani, in Consiglio dei ministri. Conseguenze immediate sul governo, per ora, nessuno si azzarda a pronosticarle. Ma già questa settimana, dopo lo schiaffo su Papa e rifiuti, c'è un'altra grana che rischia di fare esplodere i rapporti tra Lega e Pdl: le missioni all'estero, altro punto "aggredito" da Bossi a Pontida. E il viceministro Castelli in serata ha fatto capire che la linea morbida non è cosa leghista, annunciando che darà «un altro dispiacere a Berlusconi» votando «no» al rifinanziamento.

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