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Il centrodestra non usi "socialista" come un insulto

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Caro direttore, è stato semplicemente geniale provocare la discussione sui presupposti ideologici e teorici della manovra economica non tanto perché io creda nell'esistenza di questo retroterra ma per gli «spiriti animali» profondi che essa ha messo in evidenza. Registro che per alcuni esponenti politici e culturali del centro-destra l'espressione «socialista» è quasi un insulto. La cosa non mi impressiona affatto, anche perché essa s'intreccia singolarmente con l'epiteto di «rinnegato» che da sinistra, da parte di paleo e neo comunisti e di paleo socialisti frontisti, viene rivolta a coloro che - come Boniver, Brunetta, Stefania Craxi, Frattini, Sacconi lo stesso Tremonti - non hanno seguito l'aureo principio: «Il posto dei socialisti è a sinistra» (nella fattispecie in questa sinistra giustizialista e debenedettiana nei giorni lavorativi e massimalista nei giorni festivi). Del resto l'insulto «rinnegati» ha una sua nobiltà storica: fu rivolto da Lenin a Kaustky (appunto «il rinnegato Kaustky»). Passiamo a coloro che dal centro-destra usano l'espressione «socialista» come una parolaccia in nome della loro adamantina purezza liberale. Se dovessi procedere lungo il loro stesso meccanismo definitorio, non potrei fare a meno di rilevare che in Italia, nel secondo dopoguerra, i liberali allo stato puro non sono mai andati oltre il 2%, tranne il momento più alto dell'opposizione del PLI di Malagodi al centro-sinistra. Evidentemente una qualche ragione di fondo in tutto ciò c'è. A sua volta Martino - sul Tempo di ieri - in nome di una posizione liberale del tutto «pura» contesta anche quella storia. Detto questo va detto che la questione va affrontata non solo col metodo definitorio dell'ideologia, ma anche con il metodo-storico-politico e allora le cose inevitabilmente si complicano perché sul piano storico esistono socialismi e socialismi e anche liberalismi e liberismi. Non dovrò essere io a ricordare che in Italia c'è stata una discussione proprio fra Benedetto Croce e Luigi Einaudi sul rapporto fra liberalismo e liberismo. Se non ricordo male Benedetto Croce dialettizzava molto il concetto di liberalismo e affermava che esso non si identificava tout court con il liberismo: scomunichiamo anche Croce? Visto l'andamento «dottrinario» del dibattito, poi, come non evocare gli appartenenti alla categoria dell'«ircocervo», cioè del liberal-socialismo e del socialismo liberale, da Calogero a Carlo Rosselli, come tali contestati da Croce appunto con il riferimento allo strano e mitologico animale dell'«ircocervo» per sottolineare la loro contraddittorietà sul piano logico-filosofico, ma anch'essi sono esistiti e in vari momenti storico-politici si sono anch'essi permessi di parlare di politica economica. Allora va ricordato a coloro che nel centro-destra usano l'espressione «socialista» come un «epiteto negativo» che storicamente e anche ideologicamente e culturalmente sono esistiti nel mondo e anche in Italia dei socialisti ben diversi gli uni dagli altri. Nel mondo, comunismo a parte, c'è stato il socialismo marxista ortodosso, appunto alla Kaustky, ma la socialdemocrazia tedesca ha anche fatto Bad Godesberg e ha prodotto leader come Brandt, Schmidt e Schroeder. In Inghilterra c'è stato il laborismo di sinistra e poi recentemente tutta l'esperienza di Tony Blair. In Italia c'è stato un variegato socialismo di sinistra, con accezioni staliniste e frontiste, dal primo Pietro Nenni, Rodolfo Morandi, con le varianti radicali di Lelio Basso, di Vittorio Foa, di Riccardo Lombardi, e poi c'è stato il socialismo revisionista, riformista ed eretico di Bettino Craxi, dello stesso Claudio Martelli, dell'elaborazione di Mondo Operaio fino a Don Gianni Baget Bozzo che, mescolando insieme cristianesimo e socialismo eterodosso approdò a Forza Italia (per non parlare del percorso culturale e politico di un gigante come Lucio Colletti). Allora, di grazia, di cosa parlano coloro che poi dimenticano che una delle ragioni dell'autentico odio politico che la sinistra debenedettiana nutre per i «socialisti rinnegati» approdati nel centro-destra sta nel fatto che, indipendentemente dai «dirigenti», dopo l'operazione militare-giudiziaria-mediatica di mani pulite del '92-'94, si sono spostati per reazione alla violenza e anche per qualcosa di molto più complesso almeno 2-3 milioni di elettori socialisti e che ciò ha inferto alla sinistra paleo e post comunista di D'Alema, Veltroni, Bersani un colpo durissimo costringendola a fare spericolate alleanze di estrema sinistra (la ex Rifondazione Comunista), di estrema destra (Di Pietro, Travaglio) di tipo finanziario (De benedetti e altri), di orientamento cattolico (Prodi, Marini, Franceschini, Bindi). Si dirà: che cosa c'entra tutto ciò con la manovra economica? A mio avviso assolutamente nulla, ma ho voluto pregiudizialmente sgombrare il campo da alcuni attacchi ai «socialisti». Detto questo, a mio avviso la manovra, nella sua «necessità» emergenziale, sfugge a qualunque definizione ideologica, non è né socialista, né comunista, né certamente liberale, ma casomai è solo tecnocratica. Essa ha tagliato o ha tassato quello che è riuscita a tagliare o tassare per far fronte ad una situazione di assoluta emergenza. Ci auguriamo che essa sia sufficiente a far fronte all'esplosione dei mercati, anche se siamo del tutto consapevoli che essa, sommandosi con il rigore di quella precedente (dal 2008 ad oggi) certamente colpisce pezzi vasti e significativi del blocco sociale del centro-destra. Si può dire che la situazione di emergenza provocata dalla crisi finanziaria del capitalismo è tale che prima di tutto bisogna evitare «il default» e poi ragionare di altro. È certamente materia di discussione anche nel centro-destra se l'assoluto rigore non accompagnato da misure funzionali alla crescita sia funzionale al superamento di questa difficoltà di fondo. Due ultime considerazioni: nel repertorio «socialista» di politica economica esistono due misure essenziali: il keynesismo, cioè l'uso della spesa pubblica, e la patrimoniale. Non mi sembra che elementi di questo tipo siano in questa manovra. Seconda e conclusiva osservazione. Siccome le ideologie devono sempre intrecciarsi con la storia, una certa evoluzione del pensiero cattolico, di quello liberale, di quello socialista-riformista è approdata alla elaborazione dell'economia sociale di mercato che punta a combinare insieme il mercato, la solidarietà, la mediazione sociale anche in funzione del consenso e della aggregazione di larghi e interclassisti schieramenti sociali. Credo che il centro-destra debba sforzarsi di riuscire a tornare a questa elaborazione di fondo, perché le operazioni tecnocratiche valgono per l'emergenza ma devono essere inquadrate in un contesto più ampio nel medio e lungo periodo, senza mai dimenticare il famoso ammonimento di Keynes e cioè che nel lungo periodo siamo tutti morti.

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