Il contagio minaccia Paesi insospettabili
Unabomba a orologeria minaccia il mondo. Una reazione a catena rischia di travolgere Paesi insospettabili. Per alcuni il default è ormai entrato nel quotidiano e i loro nomi compaiono da mesi sulle prime pagine di tutti i giornali inseguiti dai vampiri delle agenzie di rating che stilano classifiche come i banderilleros infilzano il toro nell'arena per prepararlo alla mattanza del torero. In questo gruppo di nazioni in bilico primeggia la Grecia che nonostante manovre su manovre, sottolineata da violenze di piazza, l'aiuto di Bce e Fmi, teme il fallimento e l'uscita dall'euro ogni volta che sorge il sole. In una situazione simile, con i dovuti distinguo sono considerati a forte rischio «inadempienza» del debito pubblico Croazia, Vietnam, Libano, Dubai, Ucraina, Argentina, Irlanda, Portogallo, Venezuela. Tutti in buona compagnia tenendo presente che l'ombra nera del default appare anche all'orizzonte di Hong Kong. Il debito dell'ex colonia britannica è il nono al mondo per solidità, il che consente a molto sonni tranquilli, ma la crescita economica della Cina ha fatto salire gli spread dei titoli pubblici del 40 per cento. E se lo spread sale, come hanno imparato gli italiani, non è una buona notizia. In Asia governo in apprensione in Malaysia. Il crollo delle esportazioni, principale fonte economica del Paese, ha fatto schizzare il rischio finanziario legato al suo debito. Un altro paese che non ti aspetti è la Slovacchia. L'esposizione del debito europeo, colpa di Grecia Portogallo e Irlanda ha bloccato al crescita del Paese che ormai stenta. Così la Finlandia, non teme una crisi a breve, ma ha le sue banche enormemente esposte con Grecia, Portogallo e Irlanda. Sembra invece allontanarsi lo spettro della crisi dagli Emirati. La crescita troppo veloce aveva messo in allarme il «business center» del Medio Oriente appena due anni fa. Il vero punto interrogativo è la Cina. Pechino, che detiene 1.152,5 miliardi di dollari in buoni del tesoro americani, che chiede a Washington di sostenere gli interessi degli investitori adottando «una politica responsabile», rischia nel giro di pochi anni di ritrovarsi nella condizione degli Stati Uniti. Gli enti locali cinesi si sono indebitati enormemente per investire nelle infrastrutture e assicurare la ripresa. L'inflazione a giugno è andata oltre il 6 per cento. Gravi perdite in borsa per le grandi banche cinesi, dopo che il 5 luglio l'agenzia Moody's ha espresso il timore che siano piene di crediti non recuperabili. Lo sviluppo cinese, fondato sulla centralità dello Stato e sulla crescita infinita, sembra crollare. Esperti avvertono che, per evitare un'iperinflazione non controllabile, occorre ridurre il peso dei governi e delle grandi aziende statali e ridare centralità ai diritti economici dei cittadini. L'economia cinese è cresciuta del 9,5 nel secondo trimestre, (9,7 nei primi tre mesi dell'anno) mentre l'inflazione continua a correre. Tale crescita è maggiore di quanto molti analisti si aspettassero, ma minore di quella del primo trimestre. Lo scorso anno le banche cinesi - Bank of China, China Construction Bank, Industrial and Commercial Bank of China - sono state ricapitalizzate: troppo esposte con gli enti locali impegnati nella realizzazione di infrastrutture. Gli investitori cercano beni rifugio più sicuri: nei primi tre mesi del 2011 la domanda di lingotti e monete d'oro in Cina è stata pari a 90,9 tonnellate, segnando un incremento del 123% rispetto alle 40,7 tonnellate dello stesso periodo dell'anno precedente. Per i cinesi acquistare oro è una sorta di assicurazione. Analisti ritengono che la crisi dell'economia cinese è ormai irreversibile: ha sviluppato industrie e infrastrutture, ma senza preoccuparsi di garantire a 1,3 miliardi di persone sanità, sicurezza sociale, pensione. Le esportazioni verso gli Usa hanno subìto una forte contrazione. I prezzi dei generi alimentari hanno avuto aumenti considerevoli: la carne di maiale, elemento base della cucina cinese, ha raggiunto un incremento del 70 per cento. Il governo è stato costretto a imporre un calmiere. E come annunciato all'ultimo congresso del Partito comunista cinese, il governo ha inasprito la lotta alla corruzione e alle frode societarie. Un numero di compagnie cinesi superiore alla media continuerà a dover affrontare accuse di frode e indagini, a causa della lotta di Pechino per migliorare gli standard di governance aziendale. Lo rende noto l'agenzia di rating Fitch attraverso un report diffuso ieri, secondo cui tuttavia non tutte le indagini sono legittimate. Fitch ha esaminato 35 aziende cinesi dopo una serie di recenti accuse per frodi societarie.