Berlusconi alza le barricate e lavora alla "grande ritirata"
Alza le barricate e prepara la ritirata strategica. Silvio Berlusconi riappare in pubblico dopo quasi dieci giorni. Si fa vedere alla Camera per la votazione sulla fiducia, racconta al gruppo di deputati che lo attornia al suo ingresso nell'emiciclo della caduta in bagno della notte precedente che gli ha procurato un bel livido. Volerà di corsa a Milano in serata, dopo l'approvazione della Manovra, per sottopporsi al più presto a una tac. Il pomeriggio lo trascorre così alla Camera, soprattutto nell'ufficio riservato al presidente del Consiglio, giusto nel corridoio a fianco all'aula. Incontra alla spicciolata ministri, sottosegretari, deputati. Il messaggio per tutti è chiaro: si va avanti. Non potrebbe fare altrimenti. Un minimo cedimento, una minima incertezza equivarrebbe a un drammatico rompete le righe. E in questo momento il Cavaliere non può permetterselo. Non gli resta che rilanciare: «Non me ne andrò finché non sarò riuscito ad abbassare le tasse», ripete a quelli che mostrano perplessità su un provvedimento che va a colpire proprio il ceto medio che aveva scelto il Pdl. Insiste: «Non sono stato affatto assente o latitante. Ho lavorato per il bene degli italiani». Poi la questione che gli sta più a cuore: l'offensiva giudiziaria. Chiede al Pdl di serrare i ranghi e di votare in Aula (ieri si è espressa la giunta) tutti compatto contro l'arresto di Alfonso Papa: «Non dobbiamo permettere che torni il clima che c'era prima del '94». E ancora: «Chiamerò io personalmente tutti i deputati, uno a uno, per vedere se ci sono indecisi. Chiederò ad Alfano di convocare il gruppo alla Camera». Il che farebbe presupporre che la linea sarà la stessa anche per Marco Milanese, il braccio destro di Tremonti per cui pure è stato chiesto l'arresto. Incontra Umberto Bossi, che continua a mostrarsi perplesso. L'indiscrezione che girava in Transatlantico è che per Papa si potrebbe chiedere il voto segreto e a quel punto, nel segreto dell'urna, anche il Carroccio potrebbe esprimersi per il salvataggio ma mantenendo l'immagine delle mani pulite. Un aiutino potrebbe arrivare dall'Udc e soprattutto dal Pd visto che a Palazzo Madama invece la maggioranza dovrà decidere sull'arresto del senatore dalemiano Tedesco. Il tutto in un clima in cui si vociferano nuovi arresti. Altri tre in arrivo, e stavolta non da Napoli. No, sarebbero addirittura undici. Si sfoga Nicola Cosentino, coordinatore campano del Pdl: «La sinistra ha governato in venti anni in Campania e la magistratura non ha emesso un solo ordine di custodia cautelare per l'emergenza rifiuti. Nemmeno uno. Siamo arrivati noi e si sono scatenati: siamo sott'inchiesta pure per epidemia. Parte tutto da Napoli. È una caccia al pidiellino. Io l'avevo detto. Ormai due anni fa». Cioè quando la procura emise una richiesta di arresto per camorra nei suoi confronti. Poco più in là il ministro Saverio Romano, imputato per mafia, esce dall'ufficio di Berlusconi ringalluzzito: «Non mi dimetto». Poi attacca: «Non finirà come il '92. Perché allora non sapevano che cosa sarebbe successo e tutti cavalcarono lo scandalo che poi li avrebbe travolto». I democristiani pensavano a ridimensionare i socialisti, i liberali immaginavano una loro crescita, i repubblicani speravano di essere risparmiati: finì che vennero tutti sotterrati. Stavolta sono tutti avvisati. A cominciare dalla Lega. Quello di Romano è il caso più delicato perché Bossi ha davvero difficoltà a spiegare ai suoi di dover salvare un siciliano indagato per mafia. Nei suoi confronti è in arrivo una mozione di sfiducia, che non prevede il voto segreto. Romano lo sa e nel Pdl fanno capire al Carroccio: oggi tocca a lui, domani potrebbe toccare a voi, ormai i pm hanno messo tutti nel mirino. Potrebbe toccare a Giulio Tremonti anche se la Procura partenopea ha fatto capire che per il momento lo lasciano in pace. Dice Siegfried Brugger, il deputato Svp che ha trascorso tutto il giorno con il ministro dell'Economia: «Dovevamo dare una risposta immediata alla speculazione ed è stata data. L'Italia è vista in Europa come uno scolaretto che però non viene mai rimandato perché alla fine dell'anno studia e si rimette in riga. Anche stavolta è stato così soprattutto grazie alla credibilità del nostro ministro. È stata fatta una Manovra che che doveva essere da 47 miliardi ed è salita a 79 senza che alcuno scendesse per strada come in Grecia o altrove. E ora Tremonti si dimette? Non credo proprio. E non lo spero per nulla». E va bene. Ma quanto può durare? In fin dei conti è la domanda che si fanno tutti. Davanti a Denis Verdini è una sfilata di finiani affranti. L'ultimo possibile passaggio è quello di Antonio Buonfiglio, sarebbe un addio a Fini persino più pesante di quelli di Urso e Ronchi. Verdini glissa: «C'è grande malcontento lì dentro. Vediamo. Sono convinto che cresceremo. Berlusconi arriverà al 2013». Intanto restare al governo gli conviene sempre meno: il lodo Mondadori insegna che nessun giudice in questo clima gli darebbe ragione. Pensa a cedere lo scettro del governo a un terzo, forse un tecnico. E Angelino Alfano farà la corsa alla premiership.