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Rebekah arrestata. Murdoch trema

News Corp., Rupert Murdoch e Rebekah Brooks

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La libertà di Rebekah Brooks, ex direttore di News of the world (il tabloid di proprietà di Rupert Murdoch chiuso domenica scorsa con tanto di scuse ai lettori dopo lo scandalo intercettazioni) ed ex amministratore delegato di News International, la filiale britannica dell'impero murdochiano, è finita ieri mattina a mezzogiorno in un commissariato di Londra dove si è presentata spontaneamente. L'ex pupilla del magnate australiano si trova ora sotto custodia, accusata di intercettazioni illegali, associazione a delinquere e corruzione. Prima di lei le manette erano scattate per altre persone tra cui - nei giorni scorsi - Andy Coulson, ex addetto stampa del primo ministro inglese David Cameron ed ex direttore del News of the World. «Non ho altro piacere con cui passare il tempo se non quello di spiare la mia ombra nel sole e commentare la mia deformità», ripeteva a se stesso Riccardo III nella tragedia di Shakespeare sulla deformità del Potere; una litania che sembra cucita addosso allo scontento dell'Inghilterra di oggi, di colpo riflessa in uno specchio che le restituisce, trasfigurate, tre manifestazioni del suo Potere contemporaneo: l'economia, la politica ed i media. L'economia perché il gruppo di Rupert Murdoch è un Impero globale ed in questo momento non se la passa affatto bene. Un esempio: l'affare BskyB - la tv satellitare inglese che Murdoch voleva acquisire al 100% - è saltato ed il Parlamento inglese, in maniera bipartisan, spinge perché riparta ma senza Rupert di mezzo. Per rendersi conto dei numeri e delle dimensioni economiche del Re dei Media è sufficiente ricordare, uscendo per un attimo dalla vecchia Europa, che negli Stati Uniti Murdoch possiede giornali come il Wall Street Journal ed il New York Post oltre a canali televisivi come Fox News. La politica perché non vi è dubbio che per la sua amicizia e frequentazione con Coulson anche il premier Cameron sia oggi in difficoltà. I media perché della sinergia tra giornali e televisioni il gruppo Murdoch aveva fatto il perno per una ulteriore espansione e per il ruolo di cane da guardia che la stampa inglese rivendica a sé da secoli. Gli effetti di questo guardarsi allo specchio nei tre aspetti sono - per adesso - doppi: di cronaca e politico-culturali. Il primo livello, la cronaca, insegue i dettagli della vicenda e si interroga sui particolari: gli arresti, il figlio di Murdoch - James - che sarebbe tra gli indagati; le vittime delle intercettazioni, le mail nascoste per evitare le indagini e via sino alle indiscrezioni di ieri sul presunto coinvolgimento di Sir Paul Stephenson, il commissario della Metropolitan Police, che avrebbe accettato un lungo soggiorno in un centro benessere di lusso offerto da Neil Wallis, ex vice direttore di News of the World arrestato (pure lui) nei giorni scorsi. Le accuse a Sir Paul erano riportate ieri dal Times, giornale del gruppo Murdoch ma la Metropolitan Police le ha smentite. Fatto sta che nella serata di ieri, lo stesso Stephenson, in una conferenza stampa televisiva, ha lasciato il proprio incarico. Il capo dimissionario di Scotland Yard ha spiegato: «Non avevo idea della portata dello scandalo. Avremmo dovuto fare le cose diversamente. Questo - ha aggiunto - non è il momento per le illazioni», sottolineando che la sua posizione «correva il pericolo di essere eclissata dal dibattito in corso tra i politici e sui media. E questo non è mai giusto». Il secondo aspetto interroga invece i britannici su cosa cambi, dopo questa vicenda, per l'Inghilterra, la patria della privacy, del common law, del giornalismo anglosassone. Cambia molto e se ne è accorto pure il vicepremier britannico Nick Clegg che alla Bbc ha detto di essere «estremamente preoccupato» per l'impatto che lo scandalo delle intercettazioni sta avendo anche sulla reputazione della polizia. Il cortocircuito sembra toccare tutti: giornali e media di Murdoch, i giornalisti, la politica, l'economia, il sistema di check and balance, l'idea della stampa «cane da guardia del Potere» e persino una parte di quei lettori inglesi che i giornali scandalistici se li sono sempre divorati (il News of the world aveva 2 milioni e 600mila lettori). Oltremanica, per la verità, hanno sempre custodito con una certa gelosia anche il Mito del giornalismo obbiettivo, imparziale nel raccontare i fatti separati dalle opinioni. Una mitologia che - più che dallo scandalo intercettazioni di questi giorni - venne smontato tempo addietro da un semplice aneddoto raccontato dall'italianissimo Indro Montanelli. «Cerchiamo di chiarire subito questa favola dell'obiettività» - affabulava da buon toscano. «L'obiettività non esiste. Me lo insegnò un mio collega americano, Miller, che io considero il mio maestro. Alla fine delle corrispondenze dalla Finlandia, lo ringraziai per avermi insegnato l'obiettività. "Ma quale obiettività", replicò lui e mi invitò a fare un esperimento: scrivere il resoconto del viaggio di ritorno in aereo fatto guardando da due finestrini sulla stessa fila. Scrivemmo due pezzi totalmente diversi: uno descrisse un cielo sereno con qualche annuvolamento, l'altro parlò di nuvole con qualche sprazzo di sereno». Gli sprazzi di sereno nello specchio di questo Riccardo III contemporaneo, contagiato dalla tecnica moderna (Shakespeare le intercettazioni non le poteva immaginare), vedremo se usciranno e per chi. Con ogni probabilità, però, la sua scena madre l'intera storia potrebbe averla già martedì pomeriggio e nientemeno che in diretta tv. Per quel giorno infatti è prevista la prima deposizione di Rupert Murdoch davanti al Parlamento britannico. Il magnate, per prepararsi bene, sta andando a lezione da avvocati ed esperti di pubbliche relazioni ed ha assunto pure Steven Rubenstein (che include tra i suoi clienti l'attore Robert De Niro) per capire come giocarsela meglio (anche in termini di immagine) davanti ai membri della commissione della Camera dei Comuni. L'audizione sarà trasmessa in televisione e siamo sicuri che registrerà un record di ascolti senza bisogno di intercettare nessun telefono. La vecchia Inghilterra, comunque andrà a finire, non sarà più la stessa e si dovrà accollare - come scriverebbe il bardo William Shakespeare - «la spesa di uno specchio». Costi quel che costi.

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