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La delusione dei liberali per la manovra socialista

Francesco Perfetti

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Caro direttore, consentimi di fare, a cuore aperto, qualche riflessione che esprime, credo, il senso di profonda delusione di tanti liberali di fronte al fallimento storico di una esperienza di governo e alla fine dell'illusione di dar vita a una democrazia moderna autenticamente liberale e competitiva. Il futuro del centrodestra, infatti, mi sembra ormai segnato. Il varo della manovra targata Tremonti ha concluso un esperimento politico sul quale si erano concentrate le aspettative di quel segmento di popolazione, moderato e liberale, che costituisce l'ossatura portante del Paese: il ceto medio, cittadini cioè, onesti e laboriosi, che pagano le tasse fino all'ultimo centesimo, credono nello Stato di diritto, non sopportano furbizie e privilegi dei quali gode, impunemente, una casta di profittatori senza vergogna. La manovra economica, questa manovra economica, assurda e vessatoria, è stata, per loro, uno schiaffo bruciante. Quel che ha dato e dà fastidio non è tanto il peso dei sacrifici richiesti quanto piuttosto lo spirito di un provvedimento che ha ben poco, se non nulla, di liberale e molto, moltissimo di socialista. Così come faceva la Nomenklatura nei paesi del socialismo reale, anche la Casta nostrana non ha intaccato, se non marginalmente, i suoi privilegi e ha scaricato tutto il peso della manovra sul ceto medio destinato a impoverirsi sempre più e a scendere di livello nella scala della stratificazione sociale del Paese. Le prime avvisaglie di questo andamento si erano già manifestate all'epoca della approvazione della legge finanziaria dell'anno precedente, che aveva suscitato un coro di proteste, indicative della crescente disaffezione del popolo di centrodestra nei confronti di un governo percepito ormai sempre più lontano dagli ideali liberali e liberisti. Ricordo quel malessere di mesi fa perché anch'esso è all'origine del terremoto politico che ha sconvolto il Paese. Sì, perché le vicende private di un premier sottoposto, indiscutibilmente, a persecuzione giudiziaria - soprattutto feste e festini con elargizioni di regali costosi e, ahimè, di posti pagati dallo Stato o dalle Regioni, cioè da noi - non avrebbero avuto, dopo tutto, l'esito che hanno avuto se non vi si fosse sommata la delusione per la mancata realizzazione di una politica liberale e liberista. La manovra di Tremonti ha segnato un salto di qualità nella corsa dissennata verso una deriva socialista e statalista che rende il governo sempre più debole. Potrebbe sembrare, per paradosso, che la crisi economico-finanziaria abbia rafforzato la maggioranza e allontanato i pericoli di una crisi governativa immediata o ravvicinata. Forse è così, perché il governo ha i numeri in Parlamento per resistere. Ma si tratta - ammettiamolo - di un governo sottoposto a fibrillazioni continue dovute ad attacchi, più o meno giustificati, di una parte della magistratura. Soprattutto, si tratta di un governo che ha perduto la fiducia di un segmento consistente del popolo di centrodestra che lo aveva voluto e sostenuto, magari turandosi il naso, con il voto e con l'entusiasmo. Un governo condannato, al più, a sopravvivere per mancanza di alternative. E la cui sopravvivenza non fa che accrescere il fossato esistente fra il mondo della politica e la società. C'è un mondo di liberali e liberisti, l'ossatura del centrodestra, che non si riconosce più in questo governo. E neppure nel Popolo della libertà. Questo mondo è, ormai, pronto non a passare a sinistra ma a scegliere la strada dello sciopero elettorale e dell'astensionismo. Berlusconi, da sempre collante riconosciuto del centrodestra, non lo esprime più. È indebolito. Lo è, in verità, non tanto per le vicende personali - vizi privati e pubbliche virtù possono pure coesistere (anche se la coesistenza può risultare fastidiosa e moralmente riprovevole) - quanto piuttosto per la sua incapacità a contrastare la deriva socialista del governo e le imposizioni demagogiche e ricattatorie provenienti da più parti, oltre che a tollerare giri di malaffare che lambiscono le porte del potere e le dimore della Casta. La prospettiva annunciata - a breve, medio, lungo termine non importa - è drammatica. L'uscita di scena di Berlusconi, comunque avvenga, rischia di comportare lo sfarinamento del Pdl cui farà riscontro una speculare e insanabile frammentazione dell'universo di centrosinistra. Con le conseguenze, a livello di governabilità del paese, che tutti possono immaginare. Se questa è la diagnosi, la terapia dovrebbe essere una terapia d'urto. In primo luogo, rinnovamento del governo, con eliminazioni e immissioni significative che recuperino lo spirito liberale e liberista e ridiano spazio alla speranza. In secondo luogo, con un governo potenziato nella sostanza e non nei numeri parlamentari, attuazione di un programma di riforme strutturali autenticamente liberali. Infine, in terzo luogo, e contestualmente agli altri interventi, rifondazione del Pdl su basi liberali. Una terapia d'urto, urgente e indilazionabile. Pena la fine ingloriosa per il governo e per il Pdl. Oltre che un danno irreparabile per l'Italia. Ma sarà possibile? Personalmente, caro direttore, non lo credo. Più passa il tempo e più mi convinco che di liberali veri ce ne sono pochi. Pullulano, invece, come formiche, molti falsi liberali: personaggi che confondono il "liberale" con il "liberal". O i quali, ancora, sono convinti che il liberalismo sia un "pensiero debole", pronto, in nome di una mitizzata "ragionevolezza", a compromessi e incontri - che, poi, in verità, altro non sono se non cedimenti intellettuali - con altre manifestazioni di pensiero politico lontanissime dal liberalismo. Che è invece un "pensiero forte", anzi fortissimo, di saldi principi. Per tutto questo, caro direttore, non credo che ci siano molte possibilità di realizzare davvero una terapia d'urto in grado di dare lo scossone salutare al centrodestra. È difficile che i miracoli avvengano. Non resta che, sperare, hegelianamente parlando, nelle "astuzie della storia". Con delusione e pessimismo.

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