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La tecnica "dolce" del colpo di Stato

Il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti

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Rino Formica, con straordinaria lucidità, scrive, nella sua ultima Lettera a «Critica Sociale»: «Ritornano le bande criminali finanziarie e globalizzate che hanno i loro untori nazionali bene inseriti nei centri nodali dell'informazione e nelle istituzioni dove si può fare del male». Il copione è identico a quello recitato nel '92-'94. Oggi è in discussione una modesta e ragionevole proposta per uscire dalla crisi con gradualità e con un minimo di equità, ma soprattutto senza aprire varchi alle forze della speculazione finanziaria che nella grande crisi politico-istituzionale del '92, tagliò la Lira e saccheggiò il sistema pubblico bancario e industriale. Dopo 20 anni di saccheggio dei beni pubblici, c'è ancora della roba da rapinare: i risparmi di massa, le attività produttive dei municipi e degli enti locali, le reti dei servizi, l'etere, l'accesso alle fonti energetiche. La nuova destra organizza il colpo. La falsa sinistra tiene il sacco. Perché l'operazione riesca, bisogna far ricorso alle tecniche del Colpo di Stato dolce: suggestionare con il terrore e con la paura del default. Sono le due tecniche usate alternativamente o congiuntamente. Tremonti ha commesso l'errore fatale: ha voluto bloccare la deriva del terrore economico e finanziario. Tremonti ha difeso l'Italia, e ora deve pagare sul piano politico e sul piano personale, con l'isolamento e con il fango. È in gioco la «Sicurezza Nazionale». Analisi perfetta. La storia ufficiale è stracarica di dogmi e soprattutto si permea di quel soffuso e insieme violento misticismo del superamento delle ideologie, che di fatto rappresenta l'ennesimo simulacro ideologico, appunto...dopo le ideologie. Un'ideologia camuffata da tecnicismo e fideismo tecno-finanziario e tecno-burocratico, che affonda le radici in quella fase tragica della Repubblica, in cui il sistema politico ha consegnato le chiavi alla super-finanza speculativa. Come ha sempre sostenuto quel magister di analisi politica che era Cossiga. La politica è stata coinvolta in un omicidio-suicidio: fuori, l'assalto dei poteri forti, dentro casa, l'abolizione dell'immunità parlamentare. Con un vulnus alla legittimità costituzionale della politica, che segna, a sua volta, la traccia della legittimità e della rappresentanza politica. Un tracciato storico-politico devastante ha aperto le porte ad una sfiancante battaglia di retroguardia: la cosiddetta "Seconda Repubblica". E ciò, senza mai promulgare un altro disegno costituzionale, come volevano Craxi e i socialisti dal 1978, e Miglio. Ebbene, dopo circa vent'anni di impoliticità stentorea e stentata politica, siamo ancora all'"assalto al cielo" da parte del forte "comunismo" finanziario delle agenzie di rating e degli speculatori. La super-ideologia è sempre la stessa: la fragile sovranità statuale italiana è il campo di battaglia della super-modernizzazione globalizzante a spese dei blocchi sociali e produttivi ancora decisivi per la tenuta del sistema socioeconomico. Non si dovrebbe trascurare che certi socialisti non digiuni di Marx riescano a leggere la realtà con un orientamento non dissimile da quello di certi liberali radicali, al punto da cogliere acutamente la posta in gioco e la perversione delle manovre speculative dei monopolisti "comunisti" in giacca e cravatta. Ferma restando la salvaguardia dell'interesse nazionale, domandiamoci, allora: a) perché, dagli anni '90 in avanti, non abbiamo più lo Stato come motore pubblico dello sviluppo? A causa della corruzione? Sciocchezze: forse che il sistema socioeconomico di un Paese moderno non è un mix pubblico-privato? E poi: il privato non ruba risorse? A mani basse: privatizza gli utili e socializza le perdite; b) perché il Paese - come sistema - non tiene più e le crisi oggi esplodono al livello congiunto della società e delle istituzioni? c) Dice qualcosa sul nostro sistema il fatto che la destra, sfinita, e la sinistra, mai nata, siano entrambe dentro questa tragica kermesse, a colpi di inchieste e intimidazioni?

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