Non bisogna abolirle. Basta riorganizzarle

Giàdopo il 1919, una generazione democratica aveva distrutto questi campanilismi. Adesso risorgono e sono ridicoli e antidemocratici…» e a parlare è tal Emilio Lussu. Perché allora difendere un'Istituzione invisa ai più? Sgombriamo il campo da ogni dubbio: personalmente, ma credo che ciò valga per ogni leghista, non ho alcuna intenzione di difendere costi inutili né gli interessi della partitocrazia. Tuttavia, non sono per nulla convinto che la pur legittima strada di un referendum popolare per la soppressione delle Province, sul cui esito non vi sono dubbi, sia la migliore: non è che abolendo le Province si risparmino tra i 17 e i 20 miliardi di euro; buona parte dei costi di servizi e investimenti in materie tutt'altro che marginali oggi di competenza provinciale e dovranno pure essere fatti. La Provincia amministra e cura un'area vasta, dove gli interessi, rappresentati dai singoli comuni, spesso sono in contrasto. Trasferiamo tutto alle Regioni? Anche in questo caso la frammentazione comunale diventa un ostacolo: nel Lazio la Regione avrebbe ben 378 interlocutori, su materie sovracomunali nelle quali ciascun Comune avrebbe poteri di interdizione non da poco. Nel breve sarebbe più semplice imporre alle Province di dare servizi reali ai Comuni (ufficio tecnici, avvocatura, urbanistica, ambiente ecc.ecc.) sgravando quest'ultimi da costi e incombenze; ma questa soluzione non intaccherebbe il nodo vero, che non è la funzionalità delle Province, bensì come sottrarre alla partitocrazia uno strumento che andrebbe cambiato all'interno di una grande riforma, una riforma che, per quanto mi riguarda, è quella federale. Voglio dire che mutare una architettura istituzionale non è cosa semplice e le Province sono un pilastro di un edificio complesso: non è sufficiente dire aboliamo le Province, bisognerebbe invece dire che l'architettura istituzionale nata a metà del secolo scorso era funzionale per un mondo che non esiste più, essa è stata superata dal progresso e dalle nuove tecnologie abbisogna non di un restyling, ma di una costruzione ex-novo. Questo il punto: il nuovo mondo abbisogna di una nuova organizzazione. Tante Istituzioni andrebbero rifondate alla luce del nuovo mondo, delle sue tecnologie e delle esigenze di una società moderna, capace di pensare globalmente e agire localmente, motto applicabilissimo al federalismo. Ricordava bene Ruggero Guarini dalle colonne di questo giornale che l'Italia è un Paese schizofrenico, capace di bocciare una Riforma con la drastica diminuzione dei parlamentari, come aveva ben proposto Roberto Calderoli. E da questa schizofrenia s'avvantaggia una nomenclatura politica (ma anche sindacale, imprenditoriale, accademica…) gattopardesca per la quale si cambia tutto per non cambiar nulla, una famiglia in cui, per dirla con Trilussa, “Famo l'ira de Dio! Ma appena mamma/ ce dice che so' cotti li spaghetti / semo tutti d'accordo ner programma”. Ma la crisi di oggi (e i mercati ce lo ricordano) impone una dieta e questa dieta va affrontata con rigore e onestà: le riforme ce le impone la storia. *Assessore Lega Nord al bilancio e agli enti locali della Regione Veneto